Martina Rosucci, nata a Torino il 9 maggio 1992, pilastro della Nazionale femminile e del Brescia, ci ha parlato della sua carriera, dei suoi sogni e della situazione del calcio femminile in Italia.
Campione d’Italia con il Brescia e una finale di Coppa da giocare: ci spieghi le emozioni vissute in questa stagione?
L’obbligo di dover raggiungere a tutti i costi un obiettivo che lo scorso anno ci era scappato per un punto, la paura di non farcela a causa di qualche passo falso ma la consapevolezza e la fiducia dentro noi stesse che alla fine, questa volta, lo scudetto sarebbe stato nostro. Una Coppa Italia ancora da giocare che rappresenterebbe la ciliegina sulla torta di una stagione perfetta: faremo di tutto per aggiungere questo trofeo a scudetto e Supercoppa.
Come ti sei avvicinata a questo sport? Hai sempre giocato da centrocampista?
Ho iniziato a giocare grazie a mio fratello gemello Matteo, colui che mi ha permesso di scoprire questa passione; ero la mascotte della squadra in cui giocava, non mi perdevo una partita né un allenamento, finché un giorno il suo mister Mario Fiore mi disse “perché non vieni a provare con noi?”. Da lì non ho più abbandonato il prato verde, giocando coi maschi fino all’età di 14 anni. All’inizio ero un esterno di fascia destra: correvo velocissima; poi col tempo mi hanno spostato a centrocampo perché volevo essere sempre nel vivo del gioco.
Molti top club europei investono molto nel calcio femminile, alcuni club italiani non hanno nemmeno la squadra: è un problema culturale o altro?
É principalmente colpa del maschilismo della cultura italiana, che purtroppo non riesce ancora a vedere nella donna quella figura emancipata in grado di ricoprire ruoli di potere e responsabilità nella società, come avviene negli altri paesi del mondo. E di conseguenza questo si riversa anche nello sport, dove le donne non riescono ad essere considerate professioniste in alcuna disciplina.
Il calcio femminile rappresenta uno dei tasselli di questo sistema dove la mancanza di investimenti, sponsorizzazione e, prima di tutto, progettualità e competenza, non gli permette di decollare così come nel resto d’Europa dove si sta sviluppando in una maniera esponenziale.
Hai avuto un’esperieza in Usa non fortunatissima, ti piacerebbe ora riprovare con l’estero?
L’esperienza estera è uno dei miei obiettivi personali e non me la negherò sicuramente. Il mio sogno però resta quello di raggiungere il professionismo in Italia e di raggiungere i top club europei e mondiali proprio con una società italiana.
Sul tuo sito ti dedichi anche alla scrittura, un domani potresti anche diventare giornalista?
Ci sono cose che non scegliamo ma di cui abbiamo estremamente bisogno: la scrittura, insieme al calcio, è per me una di queste. Inoltre è per me, oltre che uno sfogo personale, anche un mezzo di veicolazione fortissimo che utilizzo per trasmettere alle persone che ci seguono le emozioni che vivo in prima persona, rendendole partecipi e permettendo loro di affacciarsi sempre di più al mondo del calcio femminile: la conoscenza è alla base dello sviluppo.
Dai un consiglio alle ragazze che vogliono iniziare a praticare questo sport.
Non abbiate paura; non c’è tempo per preoccuparsi di cosa sarebbe meglio o di cosa sarebbe “più appropriato”; seguite la vostra passione prendendola a calci o lei prenderà a calci voi. Abbiate fiducia: prima o poi dovranno fermarci perché saremo tantissime! Voi siete il nostro futuro: non vedo l’ora di allenarvi!