Circa ventiquattro anni fa, nella nostra ridente provincia, venne alla luce un piccolo cucciolo di puma femmina. I puma sono felidi che solitamente popolano le zone montuose del centro e nord America. Chiamati anche leoni di montagna, sono predatori rapidi e letali, considerati animali sacri dai Maya e temuti dall’uomo che in passato ne ha minacciato l’estinzione. Come i suoi simili la piccola protagonista della nostra storia ha mostrato subito una predisposizione alla lotta e innate doti atletiche, ma non trovando nella zona natale un ambiente adatto alla sua crescita è stata costretta a migrare nella vicina Brescia, attratta forse dalla presenza di altre “leonesse”, con le quali ha potuto far branco e da piccola cucciolotta diventare un puma adulto e spietato. Gli anni passano e il richiamo della sua terra si fa sempre più forte. E’ così che Lisa Alborghetti, il Puma d’Alzano, non ha potuto resistere e dopo tanti anni di Brescia è tornata nella sua Bergamo, per vestire la maglia del Mozzanica e tornare protagonista della nostra serie A.
Da buona bergamasca hai iniziato a tirare i primi calci nella tua terra, ma passasti ancora giovanissima al Brescia. Vuoi raccontarci com’è cominciata la tua carriera?
Ho iniziato nella squadra dell’oratorio con i maschi, poi a dodici sono andata all’Atalanta femminile dove sono rimasta giocando nelle giovanili per tre anni. Quindi a quindici anni sono andata al Brescia, dove sono rimasta per 8 stagioni. Fu tramite Miro Keci che ebbi il contatto per spostarmi a Brescia, che era stato allenatore delle giovanili atalantine prima di passare alle rondinelle. Nella mia nuova squadra ho iniziato con le primavera, giocando le ultime partite con la prima squadra. Ma dall’anno successivo passai tra le grandi, per giocare nella serie A appena conquistata dalla società, grazie alla vittoria del campionato di A2 l’anno prima.
Un solo anno tra le ragazzine, per diventare subito un elemento indispensabile per il nuovo Brescia.
Tutti siamo necessari e nessuno indispensabile e non lo dico tanto per dire. Che mi facilitò l’approdo in prima squadra fu anche il fatto che c’erano tante ragazze più grandi e quindi io ho fatto parte del naturale cambio generazionale che avvenne. Il primo anno l’obbiettivo era salvarci e riuscimmo nell’intento anche grazie ad una vittoria a tavolino proprio contro l’Atalanta che fino all’ultima giornata era la nostra rivale diretta per la salvezza.
E dall’anno successivo partì la rivoluzione che ha portato a costruire il Brescia dei trofei.
Sì arrivarono dal Verona 5 grandi giocatrici: Brunozzi, Paliotti, D’Adda, Schiavi e Boni e dalla Reggiana Daniela Sabatino, nonché una nuova guida, Nazzarena Grilli. In quella prima stagione ottenemmo un buon terzo posto e iniziò ad amalgamarsi un gruppo che, poco alla volta, si è consolidato e ha ottenuto i successi che sappiamo. Puntare sulla costruzione di un gruppo forte e non sui singoli è stata la chiave della svolta della società. Si è creata un’anima di squadra che poi a mio avviso è la ragione di tutte le vittorie ottenute, comprese le più attuali. Giocando per anni con le stesse compagne ci sono automatismi in campo che diventano naturali e diviene tutto sempre più facile.
8 anni al Brescia passati lavorando con tre allenatrici diverse. Quali insegnamenti hai avuto da loro?
La prima è stata Ilaria Rivola, che ho avuto solo nel primo anno di serie A e che fu esonerata prima della fine del campionato. Per me era un anno speciale perché da piccola, stare lì nel calcio che conta era già una favola e non mi rendevo conto di quello che andava o non andava, pertanto mi viene difficile giudicarla. Nazzarena aveva un carattere molto forte, non andava per il sottile e diceva sempre in faccia quel pensava. All’epoca io ero ancora troppo piccola per capire che quello era il suo modo di spronarci e tirare fuori il massimo da noi e ho un po’ sofferto per questo. Oggi ho capito che quel che ha fatto lo ha fatto perché in me ci credeva ed è stata importante perché mi ha aiutato a smussare il mio carattere. Infine Milena Bertolini, molto diversa da Nazzi, ma molto preparata e capace ad insegnare calcio.
Mezzala, all’occorrenza difensore, impiegata a volte anche come trequartista, nell’under 20 hai fatto il centravanti e mi risulta che in passato hai fatto anche il portiere. C’è qualcosa che non hai fatto?
In effetti sono nata portiere che ancora oggi è il mio ruolo preferito e sarei felicissima di tornare tra i pali se qualcuno me lo chiedesse, ma temo resterà il mio sogno nel cassetto. Sono diventata poi centrocampista centrale, addirittura con Rivola giocavo da trequartista con il 10. La punta l’ho fatta solo in nazionale Under 19 e 20 con mister Corradini. Non era un ruolo che sentivo mio e ho faticato molto, pur cercando di svolgerlo al meglio delle mie possibilità. Giocare spalle alla porta non era proprio il mio gioco. Comunque conquistammo l’accesso al mondiale che per noi fu una grandissima cosa. Era effettivamente una bella squadra. Ricordo che tra loro c’erano Rosucci, Ledri, Linari, Pedretti, Di Criscio, Salvai, Lecce, Coppola… insomma qualità non ci mancava.
Qual è la giocatrice che ti ha dato di più in questi anni?
A livello calcistico dico Rosucci. A Brescia siamo state compagne di reparto e in campo con lei mi trovavo a meraviglia. A livello umano… sempre lei. Tra noi c’è un legame d’amicizia molto forte che oggi non è cambiato anche se non giochiamo più nella stessa squadra.
Il successo più bello che ricordi?
Il primo scudetto di Brescia. Sarà stata la cornice di pubblico che ci fu nella gara decisiva al Club Azzurri contro la Torres. Sarà perché stavamo detronizzando la squadra più forte del campionato, che per anni l’ha fatta da padrona, la più temuta di tutte. Un campionato iniziato male, con un 4-1 subito in casa con il Tavagnacco e l’eliminazione dalla coppa Italia proprio per mano del Mozzanica. Ma da lì è partita la nostra risalita, culminata in 29 vittorie consecutive e il trionfo finale. Una stagione magica, indescrivibile.
Infine l’esperienza a Cipro. Cosa ti ha spinto in questa scelta?
L’idea di provare un’esperienza all’estero c’era già. A ventidue anni ho pensato “o lo faccio adesso o mai più”. E’ arrivata questa offerta da una squadra cipriota, l’Apollon Lemesou, ho deciso di fare questo provino al termine del quale hanno confermato l’intenzione di tesserarmi. Non è stata una decisione facile, ma ha prevalso la volontà di fare una nuova esperienza e rimettermi in gioco. A Cipro c’è un calcio molto diverso. La qualità non manca: nella nostra squadra c’erano tante straniere, americane, greche, una svedese e persino una ragazza di Malta. Era un mix di culture e pertanto nei primi tempi farsi capire era davvero difficile. Ma anche questo aspetto mi è servito per imparare tanto, in particolare ad affrontare i miei limiti. L’Apollon è una società che investe molto nel calcio femminile. Vince da tanti anni il campionato e di conseguenza partecipa alla Champions League. Il campionato inizia a fine ottobre e finisce a marzo, dura poco insomma. Ma in sostanza si spezza in due stagioni, quella dove si partecipa alla Champions, che in pratica dura fino a novembre, e la parte successiva. Una volta uscita dalla Champions le straniere vengono liberate e la società punta quasi totalmente sulle cipriote per il resto della stagione. Insomma nella prima parte del torneo hai a che fare con un livello di qualità molto alto. E’ stata un’esperienza molto positiva che se dovessi tornare indietro ripeterei senz’altro.
Ripeteresti anche la scelta di venire a Mozzanica?
Certo. Mi sto trovando benissimo. E’ un ambiente dove puoi parlare con schiettezza, dove ogni problematica viene affrontata di persona senza dover nascondere nulla. Un particolare che mi è piaciuto molto sin da subito. Anche sul campo mi sto trovando a mio agio con le compagne e con i metodi del mister. E poi finalmente sono a casa. Arrivando da tanti anni di Brescia temevo di trovare qualche difficoltà ad ambientarmi e invece fin dal primo giorno sono stata accolta benissimo da tutti e da tutte.
Nessun problema ad affrontare il Brescia quindi? (L’intervista è stata realizzata prima della gara di campionato con le rondinelle, terminata 1-1, proprio con una rete di Lisa su calcio di rigore)
E’ ovvio che per me giocare contro il Brescia non è una partita come le altre, ma io sono contenta della scelta che ho fatto e vado in campo tranquilla. Sono una giocatrice del Mozzanica e davanti avrò delle avversarie. Poi i rapporti d’amicizia restano e ci mancherebbe non fosse così, ma dopo il 90’.
Per la preda non c’è pace, che questa sia una palla da recuperare o una porta da violare. Qualcuno sostiene che i puma possano essere addomesticati. Forse dopo il triplice fischio…
Credit Photo: http://www.asdmozzanica.eu/