Photo Credit: Wing Chong

In una giornata cupa di fine estate inglese, mi trovo nel Kent, al campo di allenamento delle London City Lionesses, squadra della WSL Championship (equivalente alla nostra serie B) dove, da qualche giorno è presente la nuova Head Coach in carica: Carolina Morace.

Resto in auto qualche minuto prima di chiamare l’addetto stampa Luke, col quale abbiamo scambiato diverse email e che mi ha dato l’OK per essere qui oggi. Non ho dormito la notte scorsa: non capita tutti i giorni di poter intervistare chi è stato un modello da seguire come calciatrice prima, e come allenatrice e donna, dopo. E’ dal 1993, quando, in una fredda e umida serata invernale dagli spalti dello Stadio Arcoveggio, vedo giocare dal vivo per la prima volta Carolina Morace, venuta col suo Milan ad affrontare il Bologna, che spero di parlarle dal vivo e di dirle anche solo grazie. Le racconto di questo ricordo poco prima di accendere il registratore ed iniziare la mia intervista: “Ah. E ho giocato bene?” Il ricordo scatta nella mente: in quell’unica occasione in cui ho visto dal vivo Carolina giocare, ho scattato una foto con la mia Ricoh automatica del tempo, usando lo zoom. L’immagine è vivida perchè incollai la foto nel diario della mia IV superiore: solo io potevo riconoscere chi fosse quella figura in mezzo alla nebbia, dato i pixel indefiniti ma che a me rendevano chiara la sua chioma e i colori della maglia.

Carolina ha preparato l’angolo dell’intervista nel suo ufficio che condivide con l’allenatrice in seconda Nicola Williams. In Inghilterra si sta trovando bene: essere qui era quello che voleva. Ha parole di elogio per il contesto femminile inglese “Sono diversi anni che il campionato femminile inglese rappresenta l’eccellenza sia per lo sviluppo che è stato fatto, che il progetto globale che hanno seguito: hanno allargato la base, hanno strutturato una campagna di marketing dedicata. Tutto questo ha contribuito ad ottenere i risultati che sono culminati con la vittoria dell’Europeo e non ultima la finale al Mondiale. Qui c’è’ il calcio migliore, l’eccellenza del femminile, quindi sono contenta di essere qui”. Continua con l’orgoglio di chi ha fatto parte della realtà italiana sia nel calcio giocato che in quello allenato: “Sono ancora piu’ contenta che venendo da una scuola tecnica diversa, le giocatrici stanno apprezzando molto sia i suggerimenti tecnici, ma soprattutto il modo diverso che abbiamo di insegnare la tattica, di concepire il calcio, di spiegare perchè facciamo delle cose, piuttosto che altre. Da subito le giocatrici hanno capito che il nostro stile e’ un po’ diverso ed e’ stato subito apprezzato.” Abbiamo continuato parlando in specifico del club di cui Carolina fa parte: le London City Lionesses che e’ una realta’ professionistica ma distaccata da qualsiasi club maschile di qualsiasi livello, la cui Presidente e’ Diane Culligan. “I punti di forza di questa realta’ indipendente sono che decide la societa’ quanto investire sul calcio femminile, proprio perche’ siamo indipendenti e non abbiamo restrizioni come potrebbe succedere se fossimo dipendenti da un club maschile: ben vengano gli investitori perche’ tutti possono investire su una squadra che e’ indipendente”. Carolina continua dicendo che una simile realta’ potrebbe esistere anche in Italia “Ma non so quante donne manager o industriali in Italia si occupino di investire nello sport” ed elogia la passione ed il lavoro della Presidente Diane Culligan e sottolinea come questa mancanza di donne che investono nello sport tocchi anche le realta’ minori: “Lo sport e’ predominio di investitori uomini e non si capisce come mai le donne non investono in progetti sportivi. Certo, ci saranno meno donne che hanno imprese o industrie in Italia rispetto a quelle in Inghilterra, ma non investono comunque in società sportive.” Accenno alla notizia di qualche giorno fa che vede l’ex juventina Eni Aluko parte di un consorzio (Mercury13) che vuole investire in 13 club calcistici femminili in tutto il Mondo “Mi fa piacere perche’ vuol dire che le donne a livello globale si stanno muovendo: si stanno coalizzando cercando di fare bene per le donne. Mancano degli investimenti solo per le donne”.

Le parlo di Hope Powell, icona del calcio femminile qui in Inghilterra quanto Carolina lo e’ in Italia e che so essere sua cara amica: “Ci siamo gia’ incontrate come allenatrici sul campo: quando ho allenato l’Italia, e lei l’Inghilterra, era in vantaggio lei. Col Canada, sono in vantaggio io… Quindi continuiamo ad essere amiche”. Le chiedo come si possa cercare di creare forti legami tra giocatrici mantenendo la competitivita’ e Carolina sottolinea come le giocatrici siano cambiate, ed il discorso verte sull’uso dei social: “Si chiamano social, ma in realta’ tolgono la socialita’ della conversazione e della condivisione. Noi passavamo molto piu’ tempo assieme e condividevamo molto di piu’ rispetto a quanto lo possano fare oggi le nuove generazioni ed e’ difficile creare oggi gli stessi rapporti” ed accenna alla profonda amicizia con Betty Bavagnoli, responsabile della AS Roma Womens. Aggiunge anche che siamo noi, quelli della “sua” generazione che si devono adattare al mondo che sta cambiando e dipende dalle allenatrici trovare la chiave giusta per accedere e creare legami all’interno della squadra, anche utilizzando esercitazioni in campo che forzano le giocatrici a parlarsi e ad aver fiducia l’una dell’altra, e a guidarsi.

Sembra un discorso estremamente attuale dato che le London City Lionesses hanno cambiato tutte le giocatrici tranne 3, ed il mercato e’ aperto fino al 14 settembre, nonostante il campionato sia gia’ iniziato.

Accenno al caso Federazione Spagnola e Rubiales per chiedere a Carolina cosa pensa della salvaguardia delle giocatrici e se abbia mai sentito di accadimenti simili durante la sua carriera. “Al livello internazionale, l’attenzione sul rispetto, l’inclusione, il bullismo e’ altissima ed e’ giusto cosi’: in Italia un po’ meno”. E mi ricorda del suo ruolo come fondatrice dell’Associazione Italiana Calciatrici, la cui presidente era Anna Maria Cavarzan e in cui Carolina faceva parte del direttivo, e di come per lei queste situazioni devono sempre essere attenzionate nel profondo. Assieme condividiamo lo stupore del fatto che in Italia nessuno, nemmeno gli addetti ai lavori, abbiano fatto dichiarazioni sugli avvenimenti post mondiale: “Vuol dire che non siamo ancora al passo coi tempi e di come debba essere un comportamento globale. Si parla di rispetto, di non stare in silenzio, ma non ho ancora visto una dichiarazione ufficiale.”

Passiamo alla questione Nazionale Italiana femminile senza un/a CT e non riesco a finire la domanda che vengo immediatamente incalzata: “Per noi donne allenatrici c’è sempre il giudizio di genere: non c’è mai un giudizio sulla bravura. Sembra che vogliano mettere un uomo come allenatore e io credo che nulla fosse più facile che prendere un allenatore come Giampiero Piovani, che sono 15 anni che sta nel calcio femminile, che ha sempre fatto bene, le sue squadre giocano bene.” Quello che Carolina vede come vero ostacolo è la cancellazione della storia del calcio femminile da parte della Federazione poiche’ nessuno all’interno sembra ricordare e riconoscere i traguardi del movimento che l’ha vista protagonista.

Si avvicina l’ora del pranzo e quindi decido di chiudere chiedendole cosa fara’ Carolina tra 5 anni e lei mi sorride dicendo che spera di essere a godersi la pensione. Io pero’ me la voglio immaginare come Roy Hodgson e magari essere richiamata all’appello dalla pensione per guidare una squadra nella WSL… O la Nazionale Italiana stessa.

Natascia Bernardi
Appassionata di calcio femminile dagli anni 90, prima portiere, poi arbitro ed ora allenatrice con il patentino di UEFA B in via di lavorazione. È attualmente Head Coach per QPR U12 Girls e allenatrice della squadra femminile di un College. Ambasciatrice per Kick It Out - l'associazione inglese contro ogni forma di discriminazione, se non su un campo da calcio o sugli spalti di uno stadio, la si può incontrare in qualche caffè indipendente intenta a leggere una biografia calcistica o un libro di narrativa italiana. Adora ascoltare BBC radio 2 o musica anni 80 quando guida anche se preferisce podcast calcistici in autostrada. I suoi miti calcistici femminili sono: Carolina Morace e Mia Hamm. Ha vissuto un po' ovunque ma ora è di base a Londra.

2 COMMENTI

  1. Intervista molto bella e ben scritta. Belle le domande (e le risposte) e confesso di essermi subito chiesto, come Carolina Morace, del perché in Italia non vi sia stata una dichiarazione ufficiale sui fatti spagnoli da parte della federazione o delle nazionali o delle società (forse solo il Pescara). Solo alcune calciatrici hanno dichiarato lA propria solidarietà con Jenni Hermoso.

  2. Bellissima intervista!!!!!!
    Capisco le opportunità che da il calcio inglese femminile per un allenatore.
    Pero preferirei avere la Morace in Italia perché con la sua esperienza sarebbe un valore aggiunto alla lotta che molte persone portano avanti in federazione per dare spazio al calcio femminile professionista

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