Nel passaggio dal Rinascimento all’età napoleonica cominciarono a distinguersi e ad affermarsi nello scenario sociale le prime figure femminili: una su tutte, Elena Lucrezia Corner, la prima donna al mondo a conseguire una laurea. Proseguendo il cammino temporale verso i giorni nostri, arriviamo al secolo scorso quando, nel 1948, l’entrata in vigore della Costituzione sancí la parità tra uomo e donna, almeno dal punto di vista del diritto. Forse, solo e soltanto dal punto di vista del diritto: siamo ben lontani da quei ruoli di monaca, moglie, serva e cortigiana che spettavano alle donne in epoca rinascimentale, ma sul piano sociale questa maggior acquisizione di diritti non ha comportato tutt’oggi la redenzione definitiva da insignificanti, ma che purtroppo lasciano il segno, violenze fisiche e psicologiche.
Oggi parliamo di Elisa Bartoli, calciatrice d’esperienza, classe ’91, con la città di Roma stampata sulla carta di identità e nel cuore. Con la fascia al braccio, veste in campionato il giallo del sole insieme al rosso del “core”, in campo internazionale l’azzurro della nostra selezione e, lontano dal campo, l’arcobaleno del contrasto alla violenza sulle donne. Non a caso, il suo ruolo è quello di difensore. Non a caso il suo numero di maglia è un 13 che simboleggia la sua essenza, 3 bandiere in 1 sola calciatrice: capitana della Roma Femminile, elemento imprescindibile della nazionale e paladina della difesa della donna.
Elisa è un difensore dai piedi buoni col vizio del gol, dotata di rapidità nella corsa, costanza e una forte determinazione. Quest’ultima dote la porta a vincere numerosi contrasti anche quando gioca in posizione di centrale di difesa e a non sbagliare i tempi di intervento quando cerca l’anticipo sulle avversarie.
Nella creazione del gioco è un ottimo collante tra difesa e metà campo. Schierata da terzino, spinge sulla fascia destra o sinistra con decisione per accompagnare l’azione offensiva o di contropiede, salendo fin sulla linea delle centrocampiste per proporsi come soluzione di un eventuale passaggio o di un allargamento del gioco, fino a giungere all’altezza dell’area di rigore per supportare l’attacco nel portare a conclusione quanto creato.
La maggior importanza che esprime verso il gruppo anziché verso la propria individualità si denota, sul campo, in ricezione della palla. Cerca efficacia, non spettacolarità: al controllo del pallone non seguono giocate astruse o complesse, ma alza immediatamente la testa alla ricerca di una propria compagna da servire con appoggi semplici, ma efficaci, dimostrandosi funzionale alla costruzione della manovra e contribuendo al suo compimento.
Fisicamente stabile e potente, sfrutta forza fisica nei contrasti e nei duelli aerei e la capacità di progressione in velocità nelle sgaloppate in avanti per tentare, tramite uno-due o scambi con le compagne di squadra, l’inserimento in area di rigore e il tiro in porta.
Ci sono tematiche quali la prudenza stradale, l’assistenza verso persone malate o con disabilità e la lotta alla violenza sulle donne, che andrebbero dibattute in tutte le scuole di ogni ordine e grado, perché in una società civile degna di definirsi “società” e “civile”, certi atteggiamenti e comportamenti andrebbero appresi quando si è piccoli, acquisiti nell’adolescenza, e rafforzati in età adulta per evitare che vengano del tutto dimenticati. La difesa delle donne non deve essere un concetto astratto, ma un’abitudine concreta, insita nella cultura di ciascuno di noi e, per acquisirla, è necessario cominciare ad affrontare il tema nelle scuole, proprio come hai fatto tu. Ora, Elisa, il nostro più grande auspicio è di vederti portare queste tematiche anche nelle Università.
Che si tratti di un luogo accademico o di uno stadio, ci fai immaginare da adolescenti, uno dopo l’altro e rivolti verso di te, alzarci in piedi sui banchi di scuola o sulle panchine dei campi da calcio e gridare: “Capitana, mia capitana!”