Il calcio femminile è ormai una realtà che si è diffusa a livello mondiale. Tante sono le bambine che esprimono desiderio di praticare questo sport che, per lungo tempo, si è erroneamente pensato fosse riservato soltanto agli uomini.
Il mondo occidentale ha accettato, anche se non sempre di buon grado, l’introduzione di un settore femminile che, con tutte le difficoltà del caso, è riuscito ad oggi ad avere un suo spazio di crescita.
Ecco che i nomi di campionesse come Megan Rapinoe e Alex Morgan, ma anche di Sam Kerr, Alexia Putellas e Aitana Bonmatì (solo per citarne alcuni), sono diventati ormai di dominio pubblico sia per le loro gesta sul rettangolo verde che per le loro forti prese di posizione in materia di diritti umani e parità tra uomo e donna.
In Europa i paesi nordici ma anche Francia, Inghilterra (vincitrice dell’Europeo 2022 e seconda classificata ai Mondiali 2023) e Spagna (nazione vincitrice dei mondiali 2023) hanno goduto di un grande incremento sia di sponsor che del numero delle tesserate (più di 200.000 a fine 2022).
L’Italia si trova più indietro rispetto agli altri paesi europei per diverse ragioni. La prima di queste è sicuramente di tipo cronologico: in Italia il movimento calcistico femminile è partito più tardi, e in questi anni ci sono stati diversi passi avanti.
Sarebbe inoltre necessario un cambio di mentalità talvolta ancora troppo ancorata alla convinzione errata che le ragazze non possano giocare a calcio oppure non possano giocare un buon calcio.
Se è vero che il calcio femminile non è paragonabile al maschile a causa della diversa costituzione fisica delle donne e degli uomini, è pur vero che per l’attaccamento alla maglia, per la passione e l’impegno impiegato dalle atlete giorno dopo giorno, per i risultati ottenuti nel tempo le ragazze meritano di dire la propria anche in questo ambito.
Ogni conquista, ogni traguardo raggiunto, avendo iniziato quando nessuno credeva possibile che le donne potessero vestire dei pantaloncini e scendere in campo invece che tenere una posizione marginale tra le fila dei tifosi, ha un grade un significato.
Ecco perché quando si è saputo che finalmente le nostre calciatrici avrebbero potuto affrontare il campionato da professioniste la notizia è stata accolta con gioia da tutti coloro che tengono al movimento e si sentono emotivamente coinvolti dalle gesta delle atlete.
Le ragazze, ormai meno disposte a cedere ai tabù e ai retaggi culturali, si mostrano con orgoglio vestendo i propri pantaloncini da calcio nell’intento di urlare il proprio messaggio di inclusione. Lo fanno quando scendono in campo a difendere i propri colori, lo fanno in Nazionale e utilizzano anche i social e le pubblicità.
Ne è un esempio la pubblicità uscita nel mese di dicembre che mostra una squadra della Serie C bergamasca, la Polisportiva Monterosso, sponsorizzare il noto marchio di intimo che fa da sponsor principale alla società.
Al di là dello sponsor in se, utilizzare i mass media e i social per parlare di calcio femminile è un utile strumento per farsi conoscere, dato che la comunicazione multimediale ad oggi è la cassa di risonanza di qualsiasi messaggio si voglia veicolare e nel maschile questo si fa da parecchi anni.
Vorrei concludere questo articolo in modo diverso dagli altri. Vorrei lasciare la parola a voi che nei commenti, se vi va, potete rispondere ad una domanda: quali sono i punti di forza del messaggio che le ragazze vogliono veicolare?
Nel prossimo articolo sull’argomento pubblicherò alcune delle vostre risposte, l’intento è un dialogo sull’argomento “inclusione” che coinvolga tutti perché credo sia importante per creare un legame che esuli dalla pagina scritta in argomenti di forte attualità come questo tema.