Le donne da secoli sono state abituate a combattere per vedere riconosciuti quei diritti che assottigliano, fino a rendere nulle, le differenze tra loro e gli uomini.
Se questo, nel corso del tempo, è per buona parte accaduto nel mondo occidentale, alcuni paesi come la maggior parte di quelli del mondo arabo, vedono la donna ancora del tutto sottomessa all’uomo. Lo scopo dell’esistenza della donna si limita alla procreazione e alla cura della famiglia e dei figli.
L’Iran è, nella fattispecie, uno di questi paesi. Le donne iraniane vivono una vita di divieti e limitazioni che si esplicano in un ristretto codice di abbigliamento (capelli coperti da hijab e fondoschiena coperto da una tunica se si indossa un abito aderente). In caso di contravvenzione di una di queste regole, la polizia religiosa può e deve arrestare coloro che si sono rese colpevoli di aver una condotta sconveniente.
Alle donne è impedito di cantare (se non in un duetto con un uomo), non possono ballare e non possono assistere ad eventi sportivi negli stadi, se a giocare sono gli uomini (particolari eccezioni sono state applicate di recente dopo che la FIFA ha fatto diverse pressioni in tal senso).
Diverse sono state le donne costrette ad allontanarsi dalla loro terra per paura di venir punite e uccise per non aver rispettato le regole della teocrazia di Khamenei.
SHIVA AMINI, ex giocatrice trentacinquenne della nazionale femminile iraniana vive in Italia, a Chiavari, dal 2018 come rifugiata politica perché è stata inserita dal governo iraniano nella black list per non aver rispettato le leggi del suo paese d’origine con la sua condotta.
Dopo gli avvenimenti del 16 settembre 2022 (la morte di Mahsa Amini a Theran e le conseguenti nuove proteste al grido di DONNA, VITA, LIBERTA‘) la sua storia, come quella di tante ragazze che hanno vissuto gli stessi momenti di paura, sono diventate un’unica voce per denunciare ciò che in Iran accade sistematicamente da ormai anni.
Intervistata nei maggiori canali d’informazione (dal TG1 ad “Atlantide” di Andrea Purgatori su LA7), racconta il proprio vissuto. Un vissuto fatto di coraggio e ricerca di quei diritti che dovrebbero essere imprescindibili ma che per lei sono ancora una conquista.
La sua passione per il calcio, a cui ha iniziato a giocare da quando era molto piccola, è un problema in un paese in cui alle donne è proibito andare allo stadio. Se poi a questo si aggiunge il desiderio di essere libera, allora la lotta per i propri diritti è l’unica strada percorribile:
“La mia storia comincia da quando io ho cominciato a giocare a calcio. Io sono nata in un paese in cui una ragazza non ha diritti, nessun diritto e mi ricordo che quando ho cominciato a giocare a calcio ero piccolissima, due o tre anni. Mi hanno cominciato a dire che una ragazza non deve giocare a calcio, una ragazza deve portare il velo, una ragazza non può giocare con i maschi, non può andare in bicicletta o in moto. Quando sono cresciuta mi hanno invitato in Nazionale e mi hanno detto che una ragazza non può andare allo stadio.
E’ stato quello il momento in cui mi sono accorta di essere nata in un paese in cui non ho niente e devo lottare per i miei diritti. Non ricordo un giorno in cui io non abbia lottato.
Anche nel periodo della nazionale, io e le mie compagne eravamo sempre sotto pressione: dovevamo portare il velo, dovevamo combattere per qualsiasi cosa perchè come ben sapete le donne in Iran non hanno diritti”.
Il racconto delle vicende della vita di Shiva prende una piega ancora peggiore nel 2017. Si trovava in Svizzera e delle foto e dei video su Instagram che la riprendevano senza velo e in pantaloncini sono stati la definitiva pietra dello scandalo.
La federazione iraniana le ha comunicato tutta la propria rabbia per aver violato buona parte delle leggi morali a cui le donne sono costrette nel suo paese d’origine. La minaccia di venir arrestata ha spinto la calciatrice ed attivista a decidere di stabilirsi in Svizzera prima, e in Italia poi. Qui, non potendo più giocare a calcio perchè necessita del permesso della federazione del suo paese d’origine per farlo, ha deciso di cambiare ruolo e diventare allenatrice :
“In Iran sono stata spesso arrestata, più di trenta volte, per i motivi più vari. Tagliavo i capelli, mi vestivo e usavo un nome da maschio per non venir fermata.
Un giorno del 2017 mi trovavo in Svizzera, a Zurigo. Quando viaggio sono solita giocare a calcio, il calcio è la mia vita. Mentre giocavo con dei miei amici indossavo dei pantaloncini corti, nonostante non fossi assieme alla Nazionale, e come tutti fanno ho messo delle foto e dei video su Instagram. Avevo un Instagram, una pagina privata con 800 o 900 followers.
Il giorno dopo mi sono svegliata e ho trovato il telefono invaso di chiamate e di messaggi. Mi sono spaventata e per prima cosa ho pensato fosse successo qualcosa alla mia famiglia, ho quindi chiamato mia sorella e lei mi ha detto che sui social tutti stavano parlando di me. Ho quindi chiamato la federazione iraniana, loro erano arrabbiati perchè ho giocato senza velo e con i maschi.
Ormai la notizia era di dominio pubblico e mi è stato detto che tornare in Iran è un grosso rischio. Ho assunto un avvocato in Svizzera e ho iniziato lì una nuova vita. Ho iniziato a giocare con la FC Zurigo, poi dato che non avevo la cittadinanza e non potevo partecipare alle partite, mi sono trasferita in Italia.
Ho cominciato a giocare e la FIGC mi ha chiesto la cittadinanza e anche il permesso della federazione iraniana che non avrei mai potuto avere. Ho quindi cambiato ruolo e sono diventata un’allenatrice”.
Le ragazze rimaste in Iran le scrivono sia per raccontare quello che sta succedendo in Iran, perché loro sprovviste di social non possono denunciare la propria condizione, che per trovare in questo modo un po’ di conforto.
Ha raccontato da attivista come il regime, che fa di tutto per reprimere le proteste, non sia in realtà ben accetto da buona parte della popolazione che vede le sue donne e le sue bambine soffrire e rischiare tutti i giorni la morte.
Il suo impegno è costante: dall’Italia, che è diventata ormai la sua casa, tiene i contatti con tutte quelle associazioni che possono aiutare i ragazzi che vengono arrestati e organizza delle raccolte fondi per pagare gli avvocati che devono difendere loro e le famiglie coinvolte.
E’ importante che il mondo sappia, che stia dalla parte delle donne iraniane, ed è importante continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica perché loro non mollano, continuano la loro lotta per la libertà.