Se si scrive la parola “calcio”, di per se è sinonimo di uno sport giocato al maschile, ma nella realtà attuale esiste e sta finalmente prendendo piede la passione e la professionalità del “calcio femminile”. Uno Sport che pochi valorizzano, nel nostro paese, un gioco fatto di valori cosiddetti buoni, all’interno di un universo, o per meglio dire di un mercato (quello calcistico), che alcune volte dimentica il bello di ciò che accade in e fuori dal campo, il bello dello sport giocato, il bello dello stare in squadra: tutto questo è il calcio femminile.
Il mio approfondimento verso questa realtà prende spunto da un editoriale apparso e sviluppato da Pirelli, che ha preso in esame una grande protagonista di questo Sport: Rita Guarino. Attualmente Allenatrice dell’ Inter Femminile una dei volti più importanti del calcio femminile italiano, per il tempo che ha passato in campo e in panchina, per le qualità che ha manifestato e che continua a manifestare.
Rita che ha iniziato a giocare a 14 anni, a venti ha esordito in Nazionale in occasione del primo Mondiale femminile della storia, ha vinto cinque scudetti, ha avuto un’esperienza negli Stati Uniti, oggi è una delle allenatrici più vincenti del nostro Paese. Da calciatrice era un’attaccante di qualità, in panchina ha iniziato prestissimo (praticamente mentre ancora giocava) e poi ha vissuto dall’interno l’arrivo degli investimenti portati dai club maschili, l’istituzione del professionismo, la crescita del numero dei tifosi.
“Mi sento parte del percorso compiuto dal calcio femminile, afferma Rita a chi le chiede se si sente parte di questo movimento, fin da quando non era sotto i riflettori e viveva all’ombra di quello maschile. Ho vissuto anche momenti di stallo, momenti privi di grandi investimenti. Ora c’è un po’ di crescita, ma in realtà secondo me il percorso è appena iniziato”. Nel frattempo, ha conquistato altri quattro scudetti, una Coppa Italia e due Supercoppe. Eppure Guarino dice che il suo percorso non è finito, che ha ancora tanto lavoro da fare per lei, per le calciatrici di oggi e per quelle di domani, per la crescita e l’affermazione del movimento.
Ma quando il Calcio Femminile, secondo la calciatrice ed allenatrice, sono veramente cambiati? “Direi a partire dal 2015, quando si è determinato il coinvolgimento dei club maschili. All’inizio hanno dovuto adempiere a degli obblighi, ovvero creare delle squadre Under 12 femminili, poi pian piano la cosa si è evoluta: le società hanno potuto acquisire il titolo sportivo di una squadra dilettantistica femminile. Da quei giorni, il calcio femminile è diventato parte integrante del sistema professionistico. Con annessi strumenti e competenze. Con mezzi e ambizioni completamente diversi”.
“Quello che non è cambiato, aggiunge Rita, e che mi auguro non cambierà mai, sono i valori che il calcio femminile si porta dietro. Si parte sicuramente da un’enorme passione da parte delle giocatrici, ma poi si arriva alla lealtà sportiva, all’etica comportamentale, a tutta una serie di manifestazioni legate a una reale vicinanza con il pubblico. Anche i tifosi stessi, devo dire, non sono ancora cambiati: chi segue il calcio femminile sostiene la propria squadra più che insultare quella avversaria, il pubblico fa un tifo sano”.
Attaccante veloce, dinamica, con il fiuto del gol questo era Rita sul quadrante di gioco anche se come da lei stesso dichiarato le mancava qualcosa nei colpi di testa; ma poi la scintilla di poter dare ancora qualcosa per questo Sport: diventare allenatrice.
“Il mio primo patentino da allenatrice l’ho preso a 25 anni, confida la nero azzurra, un anno dopo ero già vice-allenatrice della rappresentativa piemontese, un anno dopo ero alla guida della seconda squadra nel club in cui giocavo. Per me è stata una cosa abbastanza naturale, mi è sempre piaciuto trasferire le mie conoscenze alle ragazze più giovani. Come allenatrice mi piace definirmi flessibile: non sono ancorata a dei modelli o dei sistemi personali, cerco di adattarmi alle qualità delle giocatrici che ho a disposizione”.
Nove scudetti conquistati: cinque da calciatrice e quattro con Juventus da Allenatrice, a chi le chiede il segreto di questo, lei risponde: “Da giocatrice sei uno strumento musicale che suona bene quando il gruppo ti permette di farlo. Da allenatrice devi valorizzare il suono di tanti strumenti, di tutti gli strumenti, in modo che possa venire fuori una bella sinfonia. Quando alleni, mi viene da dire, è tutto estremamente amplificato”.
Ma il suo “palmares” non è soltanto questo: con la Nazionale maggiore Rita ha portato il suo contributo quando ancora questo Sport era virtù per poche elette, tra le quali il suo prezioso estro: “Sicuramente il mio esordio con la maglia azzurra: era ai Mondiali, e ho anche fatto gol. Ancora oggi, quando ne parlo, vengo travolta dal ricordo, dall’emozione provata quel giorno. Da allora ho avuto la spinta a pensare che il calcio potesse diventare la mia vera professione. Fino a quel momento non avevo ancora realizzato cosa stessi facendo, dove potessi arrivare. Il fatto che si potesse vivere un’emozione così forte ha fatto sì che io continuassi a cercarla, in campo e poi anche da allenatrice”.
Adesso che il Calcio femminile è stato riconosciuto “professionistico“, il modo di vedere questo Sport non soltanto al maschile, secondo Rita, è cambiato?
“Noi viviamo in un Paese in cui la cultura sportiva non è ancora supportata in modo efficace. Basti pensare che il 40% delle nostre scuole è privo di una palestra. Il calcio femminile ha visto investimenti importanti, ma adesso bisogna dare continuità: all’estero non stanno fermi ad aspettarci, hanno iniziato prima e continuano a svilupparsi. C’è bisogno di tenere il passo, di continuare sulla strada intrapresa negli ultimi anni: bisogna investire ma anche creare competenze, valori, dare visibilità a uno sport che merita di essere seguito”.