Raffaella Manieri ha rappresentato un punto di riferimento per il calcio femminile italiano, in quanto ha vinto molto, sia nel nostro paese che in Germania con la maglia del Bayern Monaco. La nostra Redazione ha raggiunto il difensore classe ’86.
Raffaella cosa è stato per te il calcio?
«Ci sono tre semplici parole che da sole possono riassumere il senso del calcio per me: essere, amare e meravigliarsi».
Cosa ti ha portato a diventare un difensore?
«Partita amichevole Under 19 contro una squadra nordica. Ero un’attaccante ed ero stata chiamata in Nazionale per questo. All’allenatrice Carolina Morace e alla vice Betty Bavagnoli, mancavano un po’ di calciatrici che a quel tempo dovettero fare l’esame di maturità. Siccome ero quella più piccola del gruppo per età, ma con più fisico, Carolina decise di mettermi difensore centrale. Risultato? Ho giocato bene ed ho strappato il mio biglietto per il club di difensori».
Come sono stati i tuoi primi passi pallonari?
«Ho iniziato a giocare nel settore giovanile dell’UP Arzilla fino all’età di 12 anni (squadra del mio paese) unica bambina, all’età di 13 anni ho dovuto smettere perché per regolamento non potevo giocare né con i maschi né con le femmine. Io avevo sempre il pallone in mano, anzi nei piedi ed ero nel campetto davanti a casa mia fin che potevo. Se mi avessi cercato mi avresti trovato lì di sicuro».
La tua prima parte italiana è legata principalmente alla Torres: che anni sono stati?
«Anni indimenticabili, in cui mi sono finalmente ricavata un ruolo da protagonista in una squadra di protagoniste. La Torres era una squadra composta da tutte calciatrici forti prima di tutto mentalmente ed anche tecnicamente. un allenatore leader ed un fisioterapista professionista nel vero senso della parola. In campo ti ci metteva sempre, era impossibile stare a riposo con lui. Una rosa corta, molto corta in grado di vincere quattro campionati consecutivi. E poi c’è la Sardegna, un luogo incredibile, magico, da vivere, in cui il tempo rallenta. Incantevole spazio intorno e distanza da viaggiare, nulla di finito, nulla di definitivo. È come la libertà stessa. è un universo da scoprire. Riservato, e che si svela piano a chi sa andare oltre. come direbbe Israel Kamakawiwo’ole nella sua canzone Somewhere over the Rainbow».
Qual è il momento più alto che hai vissuto con la Torres?
«Ci sono stati tanti momenti belli, i più belli sono sicuramente le partite scudetto, poi le partite in Champions ma una in particolare: quando abbiamo vinto in casa la partita di Champions contro il Lione».
Nel 2013 sei approdata in Germania con la maglia del Bayern Monaco: perché questa scelta?
«Perché in Italia ero arrivata al mio massimo e rimanere in Italia non mi avrebbe permesso di diventare una professionista e di andare oltre i miei limiti. Il nostro movimento aveva un limite e la Champions League come i risultati in nazionale lo dimostravano e quindi se volevo provare a fare qualcosa in più avrei dovuto abbandonare il mio paese».
Che differenze hai notato tra il nostro paese e quello tedesco?
«Professionismo contro dilettantismo, ma soprattutto considerazione e conoscenza contro l’ignoranza del calcio femminile».
Qual è stata l’emozione più bella con la maglia bavarese?
«L’esordio sicuramente e la vittoria col Wolsburg, che era in quel momento imbattuto e detentore del triplete, per 3-1».
Cosa ti ha spinto nel 2016 a tornare nel nostro Paese con la maglia del Brescia?
«Stanchezza fisica e mentale. Cultura diversa. Io sono una persona allegra e solare e questo si era trasformato in rigidità serietà lavoro, ero diventata un robottino, carino ma robottino. E poi volevo tornare in Italia a giocare con le compagne di Nazionale per preparare l’Europeo e ricaricarmi».
Nelle fila biancoblù c’erano calciatrici che da lì a poco sarebbero diventate le Ragazze Mondiali…
«Diciamo quasi tutte (ride) c’erano un’immensità di talenti in fase di maturazione ed il Brescia ha saputo riconoscerli e permettergli di crescere insieme in un ambiente sano. Questo è un valore molto importante nel calcio di allora, una serietà e professionalità nel presidente Giuseppe Cesari e in tutto il suo staff, fino a diventare ad oggi lo zoccolo duro della Nazionale Italiana. Un motivo ci sarà?».
Ti piacerebbe rivedere nuovamente il Brescia nella massima serie?
«Si è una società che merita di stare a questi livelli. Ma sono sicura che il tempo ci darà ragione».
Gli ultimi due anni li hai giocati con il Milan: che cos’ha significato per te giocare per quella divisa?
«Poter essere una professionista in Italia nel mio Paese».
La tua avventura calcistica prosegue ancora, visto che hai creato la RaffaManieri Academy.
«Ho una passione infinita verso il mondo del calcio ed i successi ottenuti in soli quattro anni con il Mixed Team e nello specifico con il progetto Pink Arzilla ne sono una concreta testimonianza. Con questa nuova avventura ho voluto trasferire quanto fatto in campo negli ultimi anni a tutti coloro che desiderano sviluppare il calcio femminile nella propria comunità».
Dal tuo percorso calcistico c’è una partita che vorresti giocare?
«La partita che si vuol giocare e quella che non è stata ancora giocata, di solito si dice così. A parte tutto mi piacerebbe giocare una finale di Champions League».
Il tuo rammarico più grande?
«Probabilmente sarei uscita a 18 anni, quando ebbi la prima chiamata di una squadra svedese. ma col senno di poi è facile parlare, perciò il principio che ho sposato per risponderti a questa domanda è: Qualsiasi cosa è successa è l’unica cosa che poteva succedere?».
Chi può vincere quest’anno la Serie A e perché?
«Diciamo che lo scudetto lo può perdere solo la Juventus che ha grande organizzazione, grandi strutture e una rosa ampia ma un pezzettino di cuore rimane sempre per il Milan che quest’anno mi piace molto di più: perciò che vinca sempre il migliore».
Che opinione hai sulla Serie B?
«Il livello della serie B è cresciuto tantissimo, lo dimostra che a lottare per il primo posto ci sono ben sei squadre e negli anni a seguire sarà sempre più competitivo. Tra le squadre emergenti, quella che mi ha impressionato di più è il Pomigliano, appena neopromossa in serie B e già ai vertici della classifica. Alla base di questa cavalcata c’è un grande Imprenditore ed anche Presidente Raffaelle Pipola, che ho avuto l’opportunità di conoscere, circondato da professionisti come Biagio Seno e tutto il suo staff, con una grande storia nel calcio maschile ed ora hanno iniziato a scrive la storia di quello femminile. E ci sono grandi squadre già molto conosciute nel panorama femminile come Cesena, Ravenna, Como, Lazio e Brescia. Anche la Serie B sta diventando un palcoscenico molto importante».
Tu sei stata uno dei punti di riferimento delle Azzurre: cos’è stato per te giocare per l’Italia?
«Un ringraziamento per i sacrifici fatti, la nazionale è la squadra madre. I Talenti si riuniscono e si arriva all’apice, ci si confronta con altre culture, si viaggia, si scoprono tante cose e si diventa sempre più consapevoli di sé stessi e della propria forza. Una responsabilità ed un onore».
La Nazionale riuscirà a centrare la qualificazione diretta agli Europei del 2022?
«Non sarà facile, perché stiamo vivendo un periodo molto particolare e dobbiamo essere veloci ad adattarci a nuove situazioni ed ostacoli, ma la forza del gruppo può fare ancora la differenza».
Il calcio femminile italiano riuscirà ad entrare nell’élite mondiale?
«Certo che sì. Siamo indietro rispetto le nostre concorrenti, ma le nostre radici ci insegnano che siamo nati per stare nell’élite. Basta solo ricordarcelo ogni tanto. Siamo Italiane e poi siamo Donne, più abituate a lottare».
Quanto sarà importante il professionismo nello sport femminile?
«Bè sarà importante tanto quanto impariamo alla svelta ad esserlo, perché ancora ho qualche dubbio. Sta diventando una parola usata spesso e senza conoscenza. Tante calciatrici lo sono sempre state, tante lo sono diventate, ma ce ne sono tante ancora che si sentono professioniste, ma non lo sono neanche in lontananza. In primis però dovrebbero essere professioniste tutte quelle figure che compongono uno staff ed un direttivo, perché ad oggi ne ho viste e vissute veramente poche. Educare al professionismo, penso che sia il primo passo per diventare professioniste. Io sono la prima che lotta e che ha sempre lottato per i propri diritti, ma c’è modo e modo e soprattutto bisogna conoscere. Ma da ragazza dico che ad oggi sarà fondamentale, anche per togliere la maschera di Zorro ad un po’ di persone».La Redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia Raffaella Manieri per la disponibilità.
Photo Credit: Raffaella Manieri