Apriamo questo editoriale facendo un passo indietro. È venerdì 16 dicembre 2005, si gioca la 13ª giornata del campionato greco maschile (l’Alpha Ethniki), e il Panathinaikos, allenato da Alberto Malesani, pareggia 2-2 contro l’Iraklis. Al termine della partita, nella conferenza stampa, il tecnico veronese si lascia andare ad uno sfogo che diventerà celebre. E vorremmo partire proprio dalla domanda che si pose in apertura: “Perché deve essere soltanto uno a pagare per tutti?”
Cambiare allenatore, in Italia, sembra sempre il modo migliore per cambiare aria, e dare così una svolta alla stagione. Non sempre l’intento riesce con successo. A volte è un boost necessario, a volte è solo effetto placebo. Ma nel calcio femminile, serve davvero cambiare allenatore in corso d’opera?
I CAMBI DI ALLENATORE NEL CALCIO FEMMINILE: LA STORIA DELLA SERIE A
Fino al 2020-21, e nelle 17 stagioni precedenti, il numero medio di cambi di allenatore si assesta sui 3 per anno. Nelle ultime due stagioni invece, il numero è incrementato parecchio. Si contano 6 cambi di allenatore nella Serie A 2021-22:
- Lazio: Massimiliano Catini rimpiazza Carolina Morace dopo la 5ª giornata;
- Napoli: Giulia Domenichetti e Roberto Castorina sostituiscono Alessandro Pistolesi dopo la 9ª giornata;
- Pomigliano: Domenico Panico rileva Manuela Tesse dopo la 3ª giornata, poi Tesse subentra nuovamente a Panico dopo la 15ª, che a sua volta ritorna per la 21ª e la 22ª;
- Hellas Verona: Veronica Brutti rimpiazza Matteo Pachera dopo l’11ª giornata.
Nella stagione successiva, i cambi di allenatore sono stati i seguenti:
- Parma: Domenico Panico rimpiazza Fabio Ulderici dopo l’8ª giornata;
- Pomigliano: Gerardo Alfano sostituisce ad interim Nicola Romaniello alla 5ª giornata, poi la società sceglie Carlo Sanchez, esonerato dopo la 22ª in richiamo di Romaniello, dimissionario dopo la 24ª, e ritorna Sanchez per il finale di stagione;
- Sampdoria: Salvatore Mango sostituisce Antonio Cincotta dopo la 18ª giornata.
Quest’anno invece, Corti ha rimpiazzato Ganz dopo l’8ª giornata nel Milan, mentre il Pomigliano ha inserito Alessandro Caruso al posto di Contreras dopo le vicende della sconfitta interna contro la Samp. Poi il tecnico ha rassegnato le dimissioni dopo la 16ª giornata, e gli è subentrato Roberto Carannante.
UN PROBLEMA ESTESO ANCHE NELLE ALTRE DIVISIONI
Ovviamente, la mentalità che vede l’allenatore come capro espiatorio non riguarda solo il campionato di Serie A. In Serie B già 4 squadre hanno cambiato allenatore, e addirittura due di esse hanno modificato la guida tecnica già prima dell’inizio effettivo della stagione. Il cambio di allenatore, in questi casi, ha visto la rassegnazione delle dimissioni, per un motivo o per l’altro.
L’allenatore, allo stato attuale, non viene visto come una figura che possa aiutare ad indirizzare la società verso un obiettivo comune (che può essere la vittoria, la salvezza, la promozione…), ma come una persona che deve sottostare a determinate dinamiche, altrimenti l’alternativa è scegliersi un altro lido a cui approdare. Ma la figura del coach, soprattutto nel calcio moderno, non si limita (e non può limitarsi) all’allenare. Ovviamente il discorso dipende molto da società a società.
Ultimamente, al tecnico si attribuiscono anche colpe inerenti il mercato, che generalmente però, non è una sua competenza diretta. Il mister segnala i profili che più si addicono al suo stile di gioco, ma non è il responsabile diretto del calciomercato. Che peraltro, è un mondo a sé stante, con le sue regole e dinamiche.
I RISULTATI SUL CAMPO
L’allenatore può essere classificato tra i responsabili dei risultati sul campo. A volte, viene additato anche per responsabilità che non ha direttamente, come gli errori tecnici di giocatrici blasonate. L’errore ci può stare, perché si parla sempre di esseri umani, ma soprattutto il tifo, nel calcio femminile, tende a prendere più le parti della squadra.
ALTRI FATTORI
Altri fattori che concorrono nel cambio di allenatore, riguardano aspetti più esterni al campo, come la gestione dello spogliatoio. Gestire uno spogliatoio, nel calcio femminile, non è facile, per via delle diverse sfaccettature psicologiche di ogni singola atleta. Devono però essere le società a lavorare bene per far coesistere squadra e allenatore, perché in un rapporto di lavoro è anche normale avere, ogni tanto, alcuni dissapori. E non è sempre facile, perché poi concorre anche la pressione per la vittoria, specialmente nei club di vertice.
Poi subentra anche il discorso relativo al turnover, altro elemento che genera dibattito. Ma garantire il giusto minutaggio non è solo compito del coach, perché, dipendendo dal club e dal relativo contesto competitivo (un club che fa la Champions League ha sicuramente altre esigenze da uno che disputa la Poule Salvezza). La panchina deve poter garantire il ricambio giusto al momento giusto. Non deve né abbassare la qualità, né alterare eccessivamente il modulo.
Un’ulteriore discorso da affrontare, è la stabilità societaria. Stabilità è sinonimo di sicurezza, e garantisce certamente maggiore tranquillità anche nei momenti più difficili della stagione. Se viene a mancare, specialmente nei momenti cruciali, può creare certamente ulteriori difficoltà da dover gestire come gruppo. Nel momento decisivo della stagione, destabilizza.
PER CONCLUDERE
Quindi la figura del coach viene spesso indicata come la responsabile principale dei problemi della squadra. Ma nel calcio, specialmente quello femminile, concorrono tanti fattori che devono incastrarsi, tra personalità con vedute diverse, ma un obiettivo comune. Tacciare soltanto una persona, o un piccolo gruppo, è sinonimo di superficialità. Una partita si può perdere per le colpe di un singolo, ma se sulla lunga distanza persistono problemi (e magari anche per più stagioni), vuol dire che bisogna dover considerare altri elementi per avere un’idea più completa.