Questo caso è emblematico perché l’iniquità della condizione femminile nel lavoro sportivo è talmente interiorizzata che non solo la si ritiene disciplinabile, nero su bianco, in clausole di un contratto visibilmente nulle, ma addirittura coercibile in un giudizio, sottoponendola ad un magistrato, che secondo la visione del datore di lavoro sportivo, dovrebbe condividere tale iniquità come fosse cosa ovvia.
In questa spregiudicata iniziativa si annida il vero scandalo culturale del nostro Paese, che è giunto al punto da obnubilare la coscienza dei datori di lavoro sportivi, fino a dimenticare cosa siano i diritti fondamentali delle persone.
L’Assist (Associazione Nazionale Atlete) ha scritto al Presidente del Consiglio, Mario Draghi e al Presidente del CONI, Giovanni Malagó, per chiedere che cosa intendano fare per mettere fine alla vergognosa situazione per la quale le donne italiane, non avendo di fatto accesso alla legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a casi clamorosi come quello dell’atleta Lara Lugli: la società sportiva con cui giocava a pallavolo in serie B1 nella stagione 2018-2019 le ha chiesto giudizialmente i danni per essere rimasta incinta, accusandola di aver sottaciuto al momento dell’ingaggio della propria intenzione di avere figli e quindi di aver violato la buona fede contrattuale. Il suo contratto prevedeva la risoluzione del rapporto per giusta causa “per comprovata gravidanza”.
Per queste ragioni, dichiara la presidente di Assist Luisa Garribba Rizzitelli, sulla scorta delle chiare promesse fatte dal neo presidente del Consiglio Draghi, chiediamo un incontro con lui e con il presidente Malagò, affinché questi deprecabili cortocircuiti nello sport italiano, di cui tutti e tutte sono a conoscenza, siano una volta per tutta affrontati e risolti.
“Questo caso non solo non è unico e non riguarda certo solo il volley, ma evidenzia una pratica abituale quanto esecrabile e indegna, e si spesa che per il mondo del calcio (prossimo all’inquadramento femminile professionistico) vi siano le giuste ed adeguate garanzie di lavoro.
In forza di questa consuetudine le atlete degli sport di squadra o individuali, non appena incinte, si vedono stracciare i loro contratti, rimanendo senza alcun diritto e alcuna tutela.
Nella speranza che il nostro Paese faccia un passo avanti, dopo questo ennesimo caso di inciviltà e discriminazione, restiamo positivi che un giorno non capiti più una situazione analoga per nessuna donna che vive di sport.