Forse non tutti sanno che il campionato femminile di serie A è il più ‘studioso’ d’Italia: tra la serie A e B femminile le laureate risultano essere (dati aggiornati all’anno scorso) il 22,9% del totale delle giocatrici.
Oltre “una su sei” delle atlete riesce a raggiungere la laurea. Sarà che il calcio, dopo la gloriosa carriera riservata ad ogni sua atleta, dura notevolmente poco per garantire una vita agiata; oppure che nonostante gli ingaggi, per quanto congrui, non sono più quelli di una volta, e comunque mai e poi mai paragonabili a quelli di un calciatore maschio di serie A.
Il volley, ha da sempre, una reputazione di sport intelligente da mantenere; sarà che in discipline meno ricche i protagonisti in campo nascono ed evolvono nella consapevolezza che saper fare anche altro, nella vita, una volta appese le scarpette al chiodo non sarà solo utile, ma addirittura necessario. Fatto sta che sottorete, in percentuale decisamente superiore agli altri sport, si moltiplicano i “campioni laureati”.
La percentuale risulta ancora più significativa se paragonata con quella degli atleti laureati in altri sport. Nella pallacanestro maschile gli atleti italiani laureati sono il 5,5% mentre nel calcio maschile, in serie A, la percentuale dei laureati è inferiore all’1%.
E se quel 22,9% s’è trasformato ora in oltre il 23% merito è delle ultime due neo-dottoresse del calcio femminile italiano: due amiche e compagne di squadra dell’Inter (Gloria Marinelli e Marta Pandini), anche approfittando del lockdown, si sono laureate in Scienze Motorie e dello Sport all’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
L’isolamento da pandemia ha (almeno in questo…) agevolata la rincorsa all’alloro accademico anche per altre atlete: si pensi alla bomber della Juventus e della Nazionale Barbara Bonansea, ora laureata in business administration, o alla nuotatrice paraolimpica Monica Boggioni, dottoressa in biotecnologie.
Insomma, il numero di laureate (e laureati) nello sport – o meglio, in alcune discipline – sembra allargarsi, per i motivi già accennati, ma anche per alcuni altri, che vale la pena sottolineare, a partire dalla sempre più crescente, in quantità e qualità, offerta di formazione universitaria online (e, anche in questo, il lockdown è stato certo un catalizzatore), per arrivare all’ormai acquisita consapevolezza che lo sviluppo del pensiero laterale è in larga parte funzionale a migliorare la performance sportiva, soprattutto per quegli atleti che faticano a digerire ritmi e carichi di lavoro troppo standardizzati e ripetitivi.
Senza nulla togliere agli atleti o atlete “Top Level” per l’importante risultato ottenuto, per il conseguimento di una Laurea, ma il vero problema del settore “Dual Career” è alla base, in quanto il numero di atleti/atlete non professionisti è aumentato in maniera vertiginosa e le istituzioni “apicali” del mondo dello Sport non si rendono conto della forza inespressa di queste figure professionali utili per colmare il gap della disoccupazione giovanile.
Il Politecnico di Torino ha da anni sviluppato un progetto di formazione in tal senso.
A questo sarebbe strategico strutturare un programma di livello accademico accessibile ad ogni atleta destinando fondi statali che verrebbero recuperati (per esempio) sotto forma di crediti d’ imposta, anche con il coinvolgimento del privato, che invece di destinare soldi a sponsorizzazioni (molto spesso inutili e sicuramente dispersivi) essi potrebbero essere destinati alla formazione accademica di atleti agonistici (anche se non espressamente professionistici).