Carolina Morace, commentatrice per Sky Sport, ex giocatrice ed allenatrice nonchè hall of famer per il calcio femminile in Italia, ha parlato a Toro News della Gazzetta dello sport riguardo alle voci di interessamento del Torino calcio all’ingresso nella Seria A femminile.
Visto il momento, quali potrebbero essere le difficoltà per il Torino nel creare o acquisire una Prima squadra?
Partiamo da un presupposto, il calcio femminile non costa così tanto. Inoltre credo che un’Under 19 che diventa una Prima squadra avrebbe anche dei costi relativamente bassi. Tolto l’esborso che si deve fare per il campionato, bisogna valutare quanto si vuole investire in comunicazione e pubblicità. La cosa più importante è sponsorizzare la nascita della squadra e in questo penso che Cairo sappia farci.
Il Torino cosa deve fare per costruire un progetto serio?
Più che pensare da dove partire, il Torino deve pensare ad arrivare in fretta in Serie A. Una società storica come il Toro deve puntare più in alto possibile, ha una storia troppo importante.
Che consiglio daresti a Cairo?
Penso che lui sia un manager molto navigato ed esperto e non ha bisogno di un mio consiglio. Ecco una cosa che manca in questo momento sono investimenti in pubblicità legate al mondo femminile. Mi vengono in mente le categorie dei cosmetici e dei profumi. Al momento nessuna società sta pubblicizzando brand come questi e potrebbe essere una mossa intelligente.
Quali sono in Italia i migliori modelli da seguire?
La Juventus è quella che ha lavorato meglio in assoluto. Sta facendo benissimo, promuovendo diverse iniziative. Anche solo il fatto di aver fatto giocare la finale all’Allianz Stadium o di aver fatto festeggiare nello stesso pullman giocatori e giocatrici sono esempi importanti. Alcuni presidenti culturalmente ancora non sono pronti. E qui stiamo parlando solamente di un passaggio culturale, perché si deve credere nel panorama femminile. La mia generazione è stata due volte vice campione d’Europa, eravamo davvero forti. Se avessero fatto vedere alle persone le nostre partite, forse ora la situazione sarebbe diversa. All’epoca c’era una dirigenza miope e figurati che alle fasi finali europee non c’era neanche la RAI a seguirci. Noi siamo state vittime loro, perché non capivano che stavamo esprimendo un buon calcio.
Tra i volti del mondo femminile granata, c’è Tatiana Zorri, che tu hai anche allenato in Nazionale. Che giocatrice era?
Era veramente forte. Poi aveva doti fisiche importanti, perché era rapida e dinamica. Per me è stata una delle migliori giocatrici italiane.
Può essere il volto giusto per una futura Prima squadra?
Io Tatiana la conosco più come giocatrice. La Tatiana che conosco io era una ragazza che il calcio lo capiva, capiva molto bene quello che io le chiedevo in campo. Questo era anche un segnale che avrebbe potuto allenare un giorno e farlo bene. Non so come si sia evoluta ora, perché non la vedo da tempo. Lei comunque ha l’esperienza giusta e poi è legata all’ambiente, per questo penso che sia la persona giusta a cui affidare una Prima squadra.
A livello internazionale, c’è un modello da seguire?
In Germania il calcio femminile è incluso anche nel panorama maschile, perché le giocatrici entrano anche a far parte della società come dirigenti, allenatrici o altro. Il presidente della federazione tedesca ha anni fa messo sullo stesso livello sia il mondiale che l’europeo maschile e femminile, giocatori e giocatrici prendevano la stessa cifra. Da quel momento lì è iniziata l’attenzione dei media. Il valore economico dell’uno dev’essere uguale dell’altro.
Al momento qual è la situazione in Italia?
In questo momento non ci sono mai state le premesse che giustificano la ripresa del calcio maschile. Per quanto ci possa essere una perdita enorme, la salute dev’essere al primo posto, anche perché è un diritto garantito dalla nostra costituzione. Se riprendiamo è per un motivo ben preciso. Queste premesse nel calcio femminile non ci sono. Soltanto qualche squadra gestita da una società professionistica potrebbe rispettare il protocollo. Io soprattutto mi chiedo, che calcio è se la squadre di Serie A sono a rischio dopo che non si gioca da due mesi. Allora quando si dice che il calcio femminile non può essere professionistico perché non ci sarebbe la sostenibilità, allora questa non c’è neanche per le 20 squadre di Serie A. Io credo che il calcio femminile, in quanto sport dilettantistico, deve rispettare le regole dei dilettanti.
Il Coronavirus può aver frenato il movimento, che stava crescendo negli ultimi anni?
L’epidemia che ci ha colpito, deve farci riflettere. Invece di perderci qualcosa, dobbiamo far sì che questo periodo non sia stato tempo buttato. Da questa situazione si deve anche pensare a come rinforzare il movimento del calcio femminile. Abbiamo capito che non c’è sostenibilità per le squadre di Serie A, per quelle di B e quelle di Lega Pro. Allora forse può aver senso fare due leghe professionistiche maschili e una femminile. A quel punto ci sarebbe sostenibilità. In Italia al posto di 10.000 tesserate potrebbero essercene 100.000, perché questo è un paese calciofilo.
Cosa manca e cosa serve al mondo femminile per essere riconosciuto come sport professionistico?
Innanzitutto servono dei manager alla Michele Uva, il cui progetto ha raggiunto il culmine con il Mondiale. Se il calcio femminile riuscisse ad avere qualcuno in grado di progettare, allora questa sarebbe una cosa importante. Poi dobbiamo migliorare dal punto di vista tecnico. Dobbiamo proporre calcio di alto livello. Chiaro che quando intendiamo professionismo non parliamo di stipendi milionari, ma di avere le stesse garanzie e assicurazioni.
Credit Photo: Facebook Carolina Morace