Sull’edizione di ieri del Corriere della Sera è stata intervistata Carolina Morace. L’ex punta della Nazionale ha parlato del momento storico del calcio femminile italiano che non soddisfa ancora la coach con trascorsi con Lazio e Milan. Questo un estratto delle parole della stessa Morace:

“L’Italia è in ritardo di 20 anni con il professionismo. Ho allenato in Canada e Inghilterra, dove dal 2009 un partner privato solido investe milioni di sterline sul calcio femminile. Se si lavora bene, gli stadi si riempiono. La Roma in Champions riesce a portare sugli spalti 40 mila persone. Il calcio si fonda su tre pilastri: biglietteria, sponsor e diritti tv. In Italia la serie A cresce e migliora ma non ne parla nessuno. E non ha senso giocare il derby di Milano a San Siro se poi a vedere le ragazze vanno solo 2.500 persone. Perché il calcio donne diventi uno spettacolo, innanzitutto la gente deve sapere che esiste”.

Sugli anni passati, poi, la stessa Morace ricorda:
“Erano anni in cui uno degli allenatori più intervistati, Eugenio Fascetti, diceva che noi non potevamo giocare a calcio. Perché? Perché siete donne, rispondeva. Punto. La sensazione di aprire una strada c’era eccome. Ma deve capire che noi antenate avevamo una spinta feroce rispetto alle giocatrici attuali, che mi paiono parecchio distratte”.

Il movimento in Italia ha ancora, però, tanti passi in avanti da fare:
“Il professionismo che abbiamo in Italia è solo un nome: è stato l’emendamento di un senatore per tre anni. Ma perché sia tale il professionismo deve autofinanziarsi, e da noi non è così in nessuno sport, non solo nel calcio. Mi sarei aspettata un progetto di professionismo: le ragazze, per bocca di Sara Gama consigliere federale, l’hanno chiesto? Non si può andare avanti a emendamenti. Ora il calcio femminile italiano deve ripartire da se stesso per trovare la forza di rimanere al passo con l’Europa”.

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