In un momento storico in cui lo sport al femminile è in crescita, chi si occupa di analizzare i dati disponibili in proposito, sta svolgendo quella che è, a tutti gli effetti, una vera e propria indagine che unisce le cifre, la statistica e la spiegazione del fenomeno dal punto di vista sociologico. Questo è dovuto a diversi fattori che partono, certamente, dal desiderio di mettersi in gioco in toto (e di poter fare la differenza) espresso dalle ragazze. Le discipline sportive, infatti, stanno perdendo quel confine e quel retaggio culturale di tipo patriarcale che le dividono in “da uomo e da donna”. Si tratta di una sorta di rivoluzione che è iniziata in silenzio ma è diventata, nel tempo, sempre più rumorosa: le iscrizioni a sport come il basket ma anche (e noi di questo ci occupiamo quest’oggi nello specifico) il calcio sono sensibilmente cresciute. Negli Stati Uniti in primis ma anche in Europa, infatti, il numero di tesserate è aumentato man mano, e se dapprima l’attenzione su di loro era minima (anzi lo sguardo era quello diffidente e un po’ sdegnoso di chi non accetta i cambiamenti) ora sul calcio femminile si è acceso un riflettore.
L’operato delle calciatrici e di chi si fa garante di un calcio diverso, scevro da quelle dinamiche di potere e di interessi dettati dal mero guadagno che talvolta viene preferito anche all’etica e ai valori dello sport, è attraente. Le loro storie sportive, infatti, si somigliano un po’ tutte e ci raccontano di sogni e sacrifici per raggiungere un obbiettivo. Dal punto di vista finanziario, molto meno romantico e più interessato all’aspetto economico della questione, tutto ciò ha pagato parecchio. Investire sul femminile significa essere inclusivi verso tutti coloro che negli anni si sono sentiti ai margini per aver avuto questa passione, ma significa anche muoversi in un cantiere aperto in cui tanto è stato già fatto ma c’è ancora tanto da fare. In tanti hanno tratto giovamento da questo: le sportive che grazie alla crescita degli introiti hanno avuto un aumento di tutte quelle tutele assicurate a chi esercita il mestiere da sportivo e che hanno avuto anche una crescita di notorietà, ma anche gli addetti ai lavori e gli sponsor (che se prima erano limitati adesso hanno registrato un’impennata).
Secondo lo Sports Business Group di Deloitte che si occupa di stilare anno dopo anno una classifica dei club che hanno guadagnato di più (Deloitte Football Money League o DFML), al primo posto svetta il Barcellona (la squadra più titolata in LigaF e campionessa in carica della Women’s Champions League). A fronte dei 13,4 milioni del 2022-23, l’anno successivo la squadra catalana è salita ulteriormente di valore raggiungendo i 17,9 milioni. Il secondo posto nel 2022-23 era occupato dal Manchester United (in Women’s Super League) ma nel 2023-2024 si è dovuto “accontentare” della quarta posizione cedendo la vetta all’Arsenal. Nelle quindici posizioni totali, ben otto sono appartenenti alla Women’s Super League a dimostrazione del fatto che in Inghilterra il calcio femminile sia diventato sempre più capillare e seguito e tutto fa pronosticare un’ulteriore crescita in futuro. Per quanto riguarda le squadre non inglesi che fanno parte della lista, sono comunque club che si sono fatti notare nelle maggiori competizioni internazionali e, ovviamente, la visibilità ottenuta ha fruttato in termini economici.
In questo discorso l’Italia, non presente nella classifica perché i suoi guadagni sono stati inferiori a 2,1 milioni, fa da fanalino di coda. Tutto ciò è comprensibile se si pensa che, rispetto ad altri paesi europei, il calcio femminile nella Penisola non solo si è sviluppato capillarmente in un momento successivo, ma vive una crescita più lenta: basti pensare che solo dal luglio del 2022 le calciatrici della massima serie hanno acquisito tutti i diritti dati dal professionismo. Le serie cadette che non hanno le stesse garanzie, invece versano in condizioni di svantaggio tale che talvolta non hanno nemmeno il necessario per poter iscrivere la squadra al campionato. Eppure, grazie ai social che aiutano la diffusione delle gesta delle ragazze, c’è da ben sperare che questi dati abbiano un’impennata nei prossimi anni complici anche le buone prestazioni della Nazionale Azzurra sotto la guida di Andrea Soncin e l’arrivo nel nostro campionato di giocatrici straniere che si sono distinte sino a divenire nomi noti (Ivana Andres, Tessa Wullaert, Lina Magull che hanno firmato con l’Inter, Vero Boquete che milita nella Fiorentina o anche Alisha Lehmann alla Juventus).
Salve,
non è “retaggio culturale” la sostanziale, fisiologica ma soprattutto genetica differenza tra un corpo di essere umano femmina ed uno di essere umano maschio. Non esiste e non esisterà mai una parità di prestanza tra una femmina ed un maschio. le più forti femmine in ogni disciplina non potranno mai gareggiare con la controparte maschile, neanche se di categoria inferiore. È genetica, che con la politica non ha niente a che fare se non con la sua (es.: selezione naturale).
Seguo le discipline femminili da decenni, per passione e perché mi sento più vicino a loro che alle maschili, indi per cui lungi da me dal difendere il patriarcato (che mi ha anche rovinato la vita per sempre).
Ma vi prego, almeno voi, fuori la politica dallo sport.
E sì, parlare di patriarcato è parlare di politica.
Buongiorno,
grazie per aver lasciato la sua opinione qui. Non la condivido, non perché non sappia che esistono delle ovvie differenze tra il fisico di un uomo e il fisico di una donna ma perché non era a questo che mi riferivo. E’ un retaggio culturale patriarcale dire che le donne non possano giocare a calcio, così come lo è dire che danza e pattinaggio non siano sport pensati anche per gli uomini. Per quanto riguarda la politica, purtroppo, tutto al giorno d’oggi è politicizzato (sport compreso) e in questo caso non potevo proprio esimermi da farne menzione.