Alisha Lehmann si è ufficialmente trasferita alla Juventus. L’operazione, dal punto di vista puramente mediatico, è stata un successo, visto che sono aumentati esponenzialmente followers e interazioni sui profili della squadra, ed è una mossa che ha fatto parlare e continuerà a far parlare di sé. La nostra redazione però, vuole sottolineare come questo trasferimento abbia comunque generato qualche dubbio, perché se da un lato serve visibilità al calcio femminile italiano, non sempre il fine giustifica i mezzi.

Punto 1: com’è nata l’operazione

Alisha Lehmann in questa finestra di mercato, non era considerata “un obiettivo di mercato concreto” (riportando le parole di Mauro Munno, giornalista di JuventusNews24), seppur il club non avesse “preclusioni“. Tutto questo il 13 giugno. Solamente 24 ore dopo, lo stesso giornalista bianconero scriveva “l’operazione sarebbe innegabilmente appetibile da un punto di vista marketing e Juventus come club ci sta pensando sempre più seriamente“, mossa diventata quasi realtà il 15 giugno. Era evidente come le voci stessero prendendo sempre più concretezza.

Il trasferimento è stato legato ad un altro movimento di mercato, che però riguardava la squadra maschile. La società infatti, ha tesserato Douglas Luiz – fidanzato di Lehmann – dall’Aston Villa, club in cui militava la stessa calciatrice svizzera. Evidentemente, è stata una mossa vantaggiosa soprattutto per la sezione femminile, in quanto è stata subordinata al maschile, evitando spese che avrebbero sforato il budget trasferimenti (sempre citando Munno).

Se da un lato si può esaltare la furbizia di questo colpo, dall’altro ci chiediamo se la stessa giocatrice possa aver avuto voce in capitolo. Questo potrebbe essere smentito dalla stessa giocatrice, che poco dopo l’acquisto, sul sito ufficiale del club, dichiarava: “Per me e Douglas essere insieme nello stesso Club è un sogno: abbiamo spesso giocato in città differenti, e quindi poter vivere queste grandi avventure nello stesso posto è qualcosa di meraviglioso“.

Punto 2: il rischio di creare un ambiente difficile

Il secondo rischio che può essere legato all’operazione, è la possibilità che l’ambiente bianconero si possa trasformare in un habitat iper-competitivo pur di quanto già non lo sia. Giocare alla Juventus significa avere la possibilità di confrontarsi con una realtà che, specialmente a livello di mentalità (come si evince dal motto “fino alla fine“) non ha eguali.

Negli ultimi anni però, la serenità del ciclo Guarino e del primo Montemurro è venuta un po’ a mancare. La miccia che ha dato fuoco alle polveri, è stata sicuramente la dimissione dell’intero Consiglio di Amministrazione della società per il caso plusvalenze, proprio mentre le Women si giocavano l’accesso ai Quarti contro Lione ed Arsenal. Unito ad un ciclo ormai giunto alla sua naturale conclusione, le certezze e la sicurezza delle giocatrici sono venute meno. E l’ultima gestione Montemurro, culminata con l’esonero, ha scontentato buona parte del gruppo squadra.

Il fatto che molte giocatrici si siano impegnate tanto e abbiano fatto sacrifici sia per arrivare a Vinovo, sia per creare una squadra vincente e competitiva, lottando per quello che la maglia simbolicamente rappresenta, e ora si sia aggiunta una calciatrice per una mossa che strizza l’occhio al marketing come fine principale, può creare ulteriore malcontento da gestire. Va detto però che Alisha Lehmann è stata definita, da chi l’ha conosciuta, come una persona umile, per cui superata la diffidenza iniziale, può sicuramente ritagliarsi il suo spazio all’interno dello spogliatoio.

Professionismo implica professionalità, quindi il fastidio iniziale sarà sicuramente superato quando si lotterà tutte insieme per la vittoria. Inutile creare polemiche basate sui “likes” (anche perché buona parte delle Bianconere è impegnata nella Pausa Nazionali, in quanto c’è un europeo da conquistare) al momento. L’ambiente bianconero deve fronteggiare voglia di rivalsa, gestire senatrici e nuove leve, e personalità di un certo tipo, il tutto alla guida di un allenatore alla sua prima esperienza nel femminile. C’è già fin troppa pressione per aggiungere ulteriore pepe alla faccenda.

Punto 3: battaglie per l’uguaglianza minimizzate

Dopo aver visto le problematiche puramente sportive (quelle quindi risolvibili), passiamo a quelle più spinose, perché la vicenda Lehmann tocca tanti altri tasti. La prima, la più evidente, è che essendo una mossa di marketing, rischia di minimizzare tutte le battaglie per l’uguaglianza, contro il sessismo e per la parità di genere. Il calcio femminile è una delle basi con cui costruire un futuro che combatta l’oggettificazione e la sessualizzazione delle donne, per creare ambienti di parità senza discriminazioni e molestie.

I commenti social evidenziano quanto ancora ci sia da lavorare per superare stereotipi e sessualizzazione. Buona parte del pubblico italiano considera il calcio femminile meno di uno sport, e sta indirizzando la sua attenzione più per l’avvenenza e la fama di Alisha Lehmann, che non per le sue qualità tecniche. Di questo la Juventus non ha colpe dirette, però la mossa di mercato strizza l’occhio più a loro che non agli appassionati del movimento.

E l’altro problema è quello del mansplaining. Ci sono personaggi che ne hanno approfittato per lanciare frecciatine e battutine, paventando una sapienza del movimento, specialmente rivolto alle giornaliste, accusate di “gelosia“. Per chi è nel settore da anni, e segue con passione, trasporto e assiduità, talvolta facendo trasferte pagate di tasca propria, è decisamente fastidioso leggere chi si presta a lezioncine su come bisogni trattare la vicenda. Il fatto che Lehmann giochi con la sua femminilità, non dà il diritto a nessuno di considerarla principalmente per quel motivo.

Punto 4: il calcio femminile necessita di questa visibilità?

Il calcio femminile, specialmente quello italiano, ha bisogno di crescere nella visibilità. Visibilità che è già cresciuta grazie all’ingresso della Juventus nel lontano 2017-18. Il club ha dimostrato di sapere smuovere l’animo di molti tifose e tifosi, e nell’ultima finale di Coppa Italia l’assenza delle Bianconere è comunque pesata. Ovviamente, la vicenda Lehmann non deve essere utilizzata per far finta che non esistano problematiche legate al calcio femminile italiano.

Vi sono infatti molti problemi alla base. Il professionismo, in fin dei conti, ha riguardato soltanto la punta della piramide, che hanno alzato la crescita, pure quella dei costi che le piccole e medie società si sono trovate ad affrontare, con anche società storiche che hanno dovuto alzare bandiera bianca. Era una mossa necessaria, ma si è poi presa in considerazione solo una parte del movimento.

Altri problemi riguardano la difficoltà nel reperire informazioni sulle squadre delle divisioni minori, sia per l’assenza di uffici stampa, sia perché alcuni club non hanno un sito di proprietà sul quale riportare le principali news. E tra Serie B, Serie C, Eccellenza e Promozione, buona parte delle ultime estati ha visto il ritiro o la cancellazione delle iscrizioni – spesso a calendari già compilati – ripescaggi o addirittura lo scioglimento della squadra femminile, come avvenuto per Canelli e Pinerolo ad esempio. Oppure come nel caso della Virtus Verona (Serie C maschile), che aveva acquisito il titolo sportivo del Real San Massimo, salvo poi fare un passo indietro.

Purtroppo la crescita dei costi, se da un lato permette alle calciatrici di accedere a strutture all’avanguardia e a personale qualificato, dall’altro rischia di ritardare l’indipendenza del calcio femminile. E come si sta evincendo dalla dura estate del calcio inglese, spesso basta la decisione di pochi uomini perché intere storie di calcio femminile vengano cancellate in un colpo di spugna. Saranno anche decisioni “difficili e sofferte” per i proprietari, ma non è che per le giocatrici sia una botta di vita, ecco.

L’ultimo problema sono i comportamenti ancora inappropriati di certi elementi all’interno del sistema, tra molestie sessuali, abusi e discriminazioni insabbiate per non creare scandali, elementi più interessati agli sponsor che non al calcio giocato (si parla in generale a livello nazionale e globale, non si sta accusando di questo uno specifico club), l’arroganza di certi procuratori, peraltro spesso non iscritti all’albo, e chi pensa – come già denunciava Carolina Morace nell’immediato post-mondiale – che il movimento Femminile sia soltanto una moda. Il fatto che Alisha Lehmann possa portare nuova linfa vitale al calcio femminile, non può significare l’ignorare criticità da risolvere al più presto per il bene dell’intero sistema.

Punto 5: accontentarsi sempre

Chiudiamo questa lunga riflessione con un quesito: perché il calcio femminile deve sempre accontentarsi? Accontentarsi di giocare in certi stadi, che se ne parli poco e peraltro nemmeno con conoscenza approfondita dei campionati, e perché “qualche anno fa era impensabile arrivare a questi livelli“…

È impossibile e arrogante pretendere che da un momento all’altro uno sport rimasto nell’ombra illumini le stanze di tutto il mondo. Ma non si può nemmeno rimanere su livelli neanche lontanamente accettabili solo perché si sta crescendo. Ci vuole tempo per un totale cambio culturale, vero, e non si può pensare di sottrarre spazio ad altri sport ugualmente importanti, anche se più di nicchia (maschili e femminili). Certo, basterebbe iniziare a ridurre lo spazio riservato al calcio maschile, anche perché se ne parli con più riguardo alla qualità delle opinioni e con meno speculazioni, ma questo è un altro discorso, e non vale solo in quel contesto.

Quello che si chiede è che vengano rispettate le volontà degli spettatori di potersi godere finalmente uno sport puro, vero, che possa effettivamente servire a cambiare la concezione di calcio che si è avuta sino adesso, uscendo dalla visione prettamente machista.

Semplicemente il calcio femminile deve tornare far notizia per le sue qualità tecniche e per le storie che nascono da esso, per la sportività, per il romanticismo dei club interamente “al femminile”, e per i nomi pesanti che arrivano dal maschile. Il tutto senza sessualizzazioni di chi va in campo per giocare. Perché il lavoro di una calciatrice è quello. La bellezza non può essere né deve diventare il mezzo principale per veicolare l’attenzione su determinate squadre.

E siamo certi che, se Alisha Lehmann non dovesse performare a dovere – potrebbe essere un’evenienza, l’ambiente juventino richiede una diversa performance rispetto ad Aston Villa o West Ham – coloro che l’hanno senza averla mai vista giocare, non esiteranno a riversare la loro frustrazione all’indirizzo della calciatrice stessa e su tutto il movimento, come purtroppo si è visto con gli insulti sessisti dopo l’ultimo Mondiale. Il sessismo è un problema da risolvere il prima possibile, e purtroppo c’è il rischio che questa operazione vada invece ad alimentarlo.