Cos’è l’ansia? E soprattutto, come possiamo gestirla?
Chiunque abbia fatto un percorso da giocatrice o da mister, a qualunque livello, l’ha sicuramente incontrata sulla propria strada. Tutti la temono perché può mandare in fumo mesi di allenamenti; tecniche e gesti da tempo automatizzati vengono disturbati, se non addirittura bloccati da quella bestia nera chiamata ansia. Il fondatore della Psicologia dello Sport, il Dott. Ferruccio Antonelli definiva l’ansia proprio così: la bestia nera dello sport.
La Psicologia dello Sport da almeno 50 anni studia scientificamente il termine “ansia”, il quale indica uno stato emotivo di tensione di apprensione, vissuto negativamente dal soggetto, che è associato ad un aumento eccessivo del cosiddetto arousal, ovvero l’attivazione psicologia (emotiva) e fisiologica (i cui indicatori sono la tensione muscolare, l’accelerazione del ritmo cardiaco e della frequenza respiratoria, e la sudorazione). Nella forma più acuta dell’ansia (l’attacco di panico), l’arousal tocca delle punte tali che la sintomatologia del soggetto assomiglia molto a quella di un attacco cardiaco pur non essendovi una base organica reale.
L’ansia ha gli stessi tre effetti sia a livello del movimento corporeo che sull’attività mentale del soggetto:
- Eccessivo irrigidimento: i muscoli sono troppo tesi e il movimento quindi macchinoso, poco armonico se non addirittura tremante fino talvolta al completo blocco. Anche la mente si irrigidisce, di solito fissandosi su poche idee di carattere negativo, come l’errore commesso, i rischi e pericoli, il lato negativo delle cose. Il soggetto è in preda all’incertezza e non riesce a prendere una decisione o una direzione, fino a cadere in alcuni casi in un blocco totale delle idee;
- Frammentazione: il movimento diventa poco fluido, a scatti, nervoso e si verificano dei “tics”; dal punto di vista mentale, la mente insiste su pochi e selezionati stimoli che formano parte del campo visivo, perdendo la visione d’insieme e la capacità di adattarsi flessibilmente alle varie situazioni di gioco;
- impulsività o fuga: non si riesce a dominare il movimento, tremano le gambe, si passa all’azione in modo scoordinato. Le gambe vanno da sole! Siccome il giocatore non può fuggire fisicamente, fugge con la testa altrove.
Un giocatore in preda all’ansia agonistica percepisce un forte disequilibrio sfavorevole fra le richieste ambientali (il compito da svolgere, l’avversario da affrontare) e le proprie capacità. L’espressione “non sono all’altezza” riassume bene il vissuto ansioso, che è aspecifico perché chi lo subisce non riesce ad identificare la causa per cui sente tale condizione negativa. In questo senso si dice che l’ansia sia “muta”, non dice al soggetto a cosa sia dovuta, non gli permette di darle un significato psicologico, ma si esprime fondamentalmente a livello corporeo.
Questa è la differenza fondamentale con la paura che, pur essendo sempre uno stato emotivo negativo associato a un incremento dell’arousal, è invece specifico. Infatti la persona che subisce una condizione di paura la attribuisce a una causa specifica: paura dei ragni, paura dei topi, paura dell’aereo, paura del colpo di testa di quel centravanti…
Vi sono altre dimensioni dell’ansia da tenere in considerazione, come la maggiore o minore predisposizione che ogni giocatrice ha nel vivere in modo ansioso novità o situazioni problematiche (ansia di tratto) ed il livello di ansia legato alla situazione che si affronta nel qui e ora (ansia di stato).
Comunque sia, non essendo possibile evitare l’esistenza di suddetti stati emotivi, che sono parte integrante del “set emotivo” di ogni essere umano, è da segnalare quanto sia “preferibile” uno stato di paura ad uno ansioso: dal momento in cui riesco ad attribuire psicologicamente, cioè spiegarmi, il motivo della mia tensione psico-motoria posso, prendere delle misure preventive o posso preparami per contrastarla e superarla nel migliore dei modi possibili.
Sia chiaro, né l’ansia né la paura necessariamente c’entrano con la ragionevolezza o con una constatazione empirica: ad esempio oggettivamente e statisticamente dovremmo avere molta più paura di prendere la macchina che l’aereo (molto più sicuro!), allo stesso modo sono piuttosto che dovrebbero essere i ragni ad avere paura di noi, esseri decine di volte più grandi, forti e astuti di loro. Ma tant’è: quello che sicuramente non dobbiamo fare è contrastare frontalmente la condizione d’ansia o la paura, che fanno parte del ventaglio delle emozioni umane, né i rituali (scaramanzie) che i giocatori da sempre mettono in piedi nel tentativo, più o meno efficace, di gestirle.
La storia del calcio ci insegna che grandi mister hanno mostrato la capacità di aiutare i loro giocatori ad incanalare la normale e ineliminabile tensione pre-partita in una direzione focalizzata e quindi costruttiva, evitando così la caduta dei giocatori nel pericoloso e bloccante vortice ansioso. Ad esempio, identificando durante la preparazione della partita i punti di forza dell’avversario si forniscono degli elementi specifici su cui versare l’aumento della tensione (arousal), che a questo punto non sarà più la bestia nera, ma quello che chiamiamo rispetto dell’avversario, ovvero il modo in cui nello sport nominiamo il timore che abbiamo nei confronti delle qualità del rivale.
Parallelamente a questo lavoro, si dovrà identificare i nostri punti di forza come squadra, sui quali riversare invece la nostra fiducia (self-confidence) e la nostra convinzione di essere efficaci (self-efficacy).
L’altra strada è rappresentata dal lavoro che si può effettuare per fornire alle giocatrici degli strumenti per gestire autonomamente l’aumento eccessivo dell’arousal, come ad esempio le ormai note tecniche di rilassamento e di visualizzazione di un obiettivo. Ma questa è un’altra storia che meriterebbe un’altra trattazione.
A cura di Flavio Nascimbene, Team Psicosport
Credit Photo: Calcio Femminile Florentia