Ho imparato a giocare a palla ancor prima di imparare a camminare, forse ho imparato a camminare proprio grazie al pallone che rotolava e per averlo vicino a me muovevo i primi passi. Ecco da quel momento in poi il pallone mi è sempre stato vicino, compagno di tante avventure, in casa avrò una trentina di palloni sparsi qua e la, mi piace averli tra i piedi, nel vero senso del termine. Non importa quanti sacrifici e quante rinunce ho dovuto e dovrò fare per quell’attrezzo che rotola, ciò che mi spinge sempre oltre è quella smisurata passione che nutro per questo sport.
Questo è il mio primo anno senza il calcio giocato eppure, non sento quella mancanza asfissiante di cui tutti mi parlavano, forse perchè sono sempre in continuo e costante allenamento( allenarmi è diventato ormai uno stile di vita) o forse perchè ho avuto la fortuna di catapultarmi in una nuova avventura calcistica, le nazionali giovanili maschili.
Sono il secondo allenatore dell’under 16 e collaboro con l’allenatore in prima Daniele Zoratto dal quale cerco di imparare dalla sua infinita esperienza e cultura calcistica, i suoi metodi e i suoi insegnamenti sono per me ma soprattutto per i ragazzi preziosi insegnamenti, la sua disponibilità e il suo spirito collaborativo rendono questa esperienza ancora più gratificante.
Il ruolo dell’allenatore è molto complesso, devi essere in grado di selezionare, di motivare, di insegnare, ma ci sono priorità dalle quali non si può prescindere, il rispetto dei compagni e degli avversari, è uno di quegli aspetti che secondo me viene prima del modulo e della tattica, formare ragazzi con valori importanti è lo spirito che la maglia azzurra deve assolutamente mantenere intatto.
Quando non siamo fuori con la 16 arricchisco il mio bagaglio personale con le altre nazionali giovanili, collaborando con gli altri tecnici vivendo situazioni e metodologie diverse, ampliando la conoscenza di un calcio nuovo.
Sono impegnata anche nel monitoraggio dei giocatori andando costantemente a vedere le partite dei campionati giovanili, c’è un grandissimo lavoro di scouting dietro la nazionale, nulla viene lasciato al caso e la crescita dei nostri atleti passa inesorabilmente attraverso un difficile lavoro di osservazione, valutazione, analisi. Essere la prima donna su una panchina di una nazionale maschile è motivo di grande orgoglio ma è soprattutto la speranza che possa essere la prima di una lunga e infinita serie di opportunità che le donne debbono avere anche nel mondo del calcio maschile, perchè la competenza e la meritocrazia non conosce genere.
Non posso infine dimenticare di ringraziare il Presidente Tavecchio e il Direttore Uva per aver sempre creduto in me e per aver intrapreso una sfida difficile e affascinante al tempo stesso, fatta di tabù da sfatare e pregiudizi da abbattere.
Ringrazio altresì tutte le persone che ho incontrato sul mio cammino.