Nel campo di calcio del quartiere “Barrio Guemes”, a Buenos Aires, si è giocata e si gioca ancora una delle partite più importanti della storia argentina. E, per una volta, senza Maradona.
Un luogo sacro. Qui, nel cuore della baraccopoli più grande della capitale sudamericana, la Villa 31, dove vivono circa 40mila persone e le case si accumulano l’una sull’altra, il campo di calcio è un luogo sacro: l’unico posto intoccabile di tutto il quartiere. I bambini escono da scuola, lanciano lo zaino da una parte e cominciano a giocare. Solo i bambini. Per le bambine, che salutano l’infanzia intorno ai 10 anni, la storia è differente. C’è sempre un lavoro da fare: un fratellino di cui prendersi cura, un nonno da accompagnare o una madre da aiutare. Il gioco, per loro, non esiste. Sono le future madri adolescenti, quelle che non potranno più studiare e che, in un Paese dove è uccisa una donna ogni 30 ore, saranno o sono già state vittima di violenze.
Il calcio come conquista di indipendenza. In questo campo, la canchita del barrio, come viene chiamata, è cominciata la battaglia per la conquista del territorio e dei diritti che ha portato alla creazione del primo Festival Latinoamericano di Calcio Femminile. Dal 2007 “La Nuestra Fútbol Femenino“, un’associazione civile che promuove il gioco del calcio tra le adolescenti come forma di svago e di conquista dell’indipendenza, è riuscita a ottenere l’uso del campo. O meglio, a toglierne il monopolio ai “maschi”.
“Il mio gioco, la mia rivoluzione”. “Siete ridicole, perché invece di giocare non tornate a casa a lavare i piatti?” gridavano mentre occupavano uno spazio ritenuto loro solo per una questione biologica. Le ragazze, però, non hanno fatto un passo indietro. La settimana successiva, erano il doppio. Sono volati insulti, minacce, anche qualche colpo di bastone. Alla fine però hanno vinto. “Il mio gioco, la mia rivoluzione” è il loro slogan.
“Las aliadas de la 31”. Da allora, sono riuscite a mantenere e difendere quelle poche ore, due giorni a settimana, in cui si allenano e si sentono libere. “Las aliadas de la 31” è il nome della squadra delle grandi mentre le piccole sono state ribattezzate “Las mini-aliadas”. “Una ragazza che si allena, che si appropria del suo corpo e che ha un interesse nello sport difficilmente in futuro diventerà vittima di violenza” ci racconta Monica Santino, 51 anni, fondatrice dell’associazione.
Una rete per i cambiamenti sociali. Oggi, a poco più di nove anni da quel fatidico 6 di novembre 2007, data ricordata come una sorta di presa della Bastiglia, non solo il gruppo è sempre più numeroso ma si inaugura appunto il primo Festival Latinoamericano di Calcio Femminile e dei Diritti delle Donne, con club provenienti da Colombia, Brasile e Germania. “Facciamo parte della Rete argentina di sport per i cambiamenti sociali – continua Monica – e l’anno scorso siamo state invitate alla riunione internazionale in Sudafrica, dove abbiamo conosciuto le ragazze dell’organizzazione tedesca”.
I cambiamenti si cominciano a vedere. Da oggi fino a lunedì quindi donne tedesche, colombiane, argentine e brasiliane, oltre ad allenatrici provenienti dagli USA, parteciperanno al Festival. Che prevede, oltre alle partite, laboratori culturali e corsi di difesa personale, organizzati durante l’anno da un altro gruppo di ragazze, Amansalva. Grazie a questa serie d’iniziative, qualche cambiamento si è cominciato a vedere.
Alcune ragazze sono riuscite a evitare di diventare delle madri bambine, altre hanno visto i benefici nella loro vita di coppia: alcuni compagni, infatti, hanno assunto un ruolo più attivo nella famiglia e si prendono cura dei figli mentre le mamme, appena ventenni, si allenano. “Non sono molti – conclude Monica – però è comunque un grande successo vedere i fidanzati che, finalmente, aiutano le loro compagne”. Il nostro gioco, la nostra rivoluzione, sono cominciati.