Non è “figlia di”, ma sicuramente è “figlia d’arte”. Non hanno le luci dei riflettori puntate addosso, ma possono vantare una storia unica. Papà e figlia in campo con la stessa maglia, a distanza di tre decenni, entrambi in un campionato calcistico nazionale.
Anche il Padova può vantare un grado di successione in rosa, proprio come successo all’Inter con Beppe Baresi e la figlia Regina. Lui, il papà, è Giorgio Michielon, stopper biancoscudato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Lei è la figlia Marta Michielon, 22enne regista del Calcio Padova Femminile. Certo, Michielon e Baresi hanno poco in comune, se non ruolo e generazione calcistica. Ma più per sfortuna che per demerito di Giorgio, il quale, dopo l’esordio in biancoscudato a 17 anni, 29 presenze e 1 gol in 3 stagioni, ha dovuto appendere le scarpe al chiodo giovanissimo, a seguito di un grave infortunio quand’era in prestito al Monselice di Reja.
Chi si sarebbe mai immaginato che quel filo spezzato l’avrebbe riannodato Marta?
«Io no di certo», sorride il papà, «Anzi, ricordo bene il giorno in cui mia figlia, a 5 anni, mi disse che voleva fare la calciatrice. Le risposi: ma come, una femminuccia? Con il sole, il ghiaccio, la pioggia? La consuetudine non vuole che una ragazza giochi a pallone. Almeno questo pensavo prima di toccare con mano lo splendido mondo del calcio femminile. Marta mi ha fatto ricredere. Non nego che, le prime volte che l’ho vista correre con quello scudo sul petto, mi sono rivisto in lei».
Marta, che nella vita studia scienze dell’educazione, ha iniziato con i maschi dell’Abano, prima di passare al vivaio del Padova femminile, di cui adesso è vice capitano della prima squadra. Ma tra i due chi è il più forte? Papà non ha dubbi.
«Sicuramente lei. Io ero un giocatore più fisico, lei invece è molto più tecnica di me».
Marta annuisce:
«Questo complimento me lo fa spesso. Dopo avermi detto che corro poco, sono lenta e devo calare di peso».
Frecciatina, tra le tante che i due si scagliano, nel più classico rapporto di amore-odio tra papà e figlia ventenne. Con lui che dagli spalti urla ad ogni azione, lei che ogni tanto gli fa cenno di star zitto, ma se non viene a vedere qualche gara ne sente subito la mancanza.
«Mi spiace non averlo mai potuto vedere in campo, anche se qualche partita insieme, in spiaggia, l’abbiamo fatta», spiega Marta, che doveva ancora nascere quando il padre festeggiava il più grande trofeo della carriera, la Coppa Italia semi professionisti vinta nel 1980.
«Fui in campo in entrambe le finali», ricorda Michielon, che ha donato alla mostra dei cimeli biancoscudati la medaglia vinta quel giorno. «All’Arechi, purtroppo, causai il rigore che diede il vantaggio alla Salernitana. Finì 3-1 per loro. Ma al ritorno all’Appiani Vitale si scatenò, vincemmo 4-0 e fu una festa memorabile».
Il futuro? Entrambi non hanno dubbi: «Nel 2018 saliamo a braccetto. Padova maschile in serie B e quello femminile in A».