C’è un aforisma che capita di incontrare in uno di quei libri che tengono insieme pensieri da filosofi e battute da comici: se la vita ti dà cento motivi per piangere, mostrale di averne mille per sorridere.
Si tratta di pubblicazioni dalla platea potenzialmente illimitata perché muovendosi nello spazio che separa e unisce commedia e tragedia è facile imbattersi in parole che descrivano frammenti della nostra esistenza. Spesso per cogliere la nostra attenzione puntano su iperboli che non sono però necessarie quando invece che lettori ci ritroviamo ad essere protagonisti di quelle situazioni.
Se la vita ci dà cento motivi per piangere siamo anche legittimati a non avere voglia di sorridere, quando invece ce ne dà qualcuno in meno, con i giusti complici può non essere un’impresa impossibile.
Federica di Criscio, domenica, sul campo dell’Inter, ha ricevuto dalla vita un motivo per piangere, e lo ha fatto. Le sue grida di dolore si sono propagate come se il filtro di un microfono a bordo campo non esistesse, ci sono arrivate dritte nelle orecchie e giù nel cuore, perché insieme alla sofferenza ci è giunto anche lo spavento di chi percepisce che l’integrità del proprio corpo è stata violata.
Sentire il suono di una paura così improvvisa ci connette in modo istantaneo a chi la sta vivendo, è un’empatia che ci rende ciò che siamo, che ci permette di occuparci degli altri, di essere animali sociali che si sono evoluti fino a quello che siamo oggi: senza questa capacità di comunicare dolore, spavento e pericolo ci saremmo probabilmente estinti milioni di anni fa.
Ma se siamo ancora qui è anche perché quella connessione e quella empatia non svaniscono quando il pericolo e il dolore sono passati, anzi si innervano di nuove e altre sfaccettate forme di socialità come la comunanza, la solidarietà, l’amicizia, l’amore.
E se il pianto rappresenta quello da cui scappiamo, il sorriso è il racconto di quello che cerchiamo.
E se c’è qualcosa che cerchiamo nella vita, questa fotografia ne rappresenta una parte importante. Questi sorrisi non si fingono, a maggior ragione in una situazione di questo tipo, queste donne si stanno veramente trasmettendo coraggio e fiducia reciprocamente, ognuna portando il proprio bagaglio: l’esperienza dell’allenatrice, l’esempio del capitano, la sorellanza del gruppo intero, ma anche l’orgoglio di chi ha già deciso di non soccombere.
Questi sorrisi raccontano la forza ma anche la dolcezza, un binomio naturale e possibile che chi non ha gli strumenti per apprezzare il calcio femminile tende a voler dividere, come se una donna dovesse scegliere se essere l’una o l’altra cosa.
Queste donne hanno scelto di essere sorelle, e per una scelta così forte non esistono perimetri, non c’è un dentro e un fuori dal campo, è una condizione permanente.
Questa squadra ha scelto di fondarsi sulla reciprocità, e su fondamenta così solide si costruiscono le case che resistono alle tempeste.
Se la vita le ha mandato un motivo per piangere, questa foto è la cartolina che Federica ha spedito in risposta per mostrarle che ne ha almeno sei per sorridere, ed è solo l’inizio.