Torna il consueto appuntamento con le interviste direttamente sul campo per le ragazze azzurre. Questa volta è toccato a Catalina Perez raccontarsi per la sesta puntata di #uNAsolapassione, format del Napoli Femminile in collaborazione con lo sponsor Aon dove la giovani calciatrici si lasciano andare a confessioni ed emozioni riguardanti la loro vita calcistica e non solo. Con l’energia e la vitalità che la contraddistinguono, l’estremo difensore colombiano ha sempre lottato per raggiungere i suoi obiettivi, avendo chiaro sin dall’inizio quale fosse il ruolo adatto a lei:
“Penso che portieri si diventi, perché credo che all’inizio nessun portiere voglia davvero esserlo, ma di certo si deve nascere con un po’ di spontaneità e di “pazzia” tipica dei portieri, quindi penso sia un po’ un mix di entrambi”.
La vita da portiere non è di certo facile. Fondamentale è la prontezza di riflessi, la fase di impostazione e la grinta da trasmettere a tutta la squadra guidandola con decisione. Il ruolo di per sé è complicato, ma bisogna fare i conti anche con un metodo di preparazione diverso, che porta ad dividersi dal resto del gruppo.
“Ci si sente abbastanza soli, sei lì dietro da sola, senza nessuno a coprirti le spalle. Si indossa una divisa diversa e pure l’allenamento è piuttosto diverso, quindi si crea come un nucleo separato con gli altri portieri e con il preparatore dei portieri. Allo stesso tempo sai di dover avere un ruolo particolare, di dover dirigere la squadra potendo vedere tutto da dietro, di doversi far sentire, urlando forte, proprio perché si ha una visione completa della porta. Penso che questo mi abbia aiutato molto nella vita, perché lo vivo tutti i giorni, perché giochi assumendoti una responsabilità assoluta, ma allo stesso tempo devi giocare leggero, con spontaneità. È necessario riuscire a mantenere una certa disinvoltura, restando “nel momento” per dare il meglio e raggiungere l’obiettivo della squadra”.
Con la grande risonanza del movimento calcistico femminile nel mondo, molte più bambine hanno potuto credere in questo sogno. Quello che le calciatrici cercano di trasmettere è un messaggio di grande importanza, facendosi portatrici di un nuovo modello culturale dove l’empowerment femminile è presente, e potente, anche nel calcio.
“Essere una donna che gioca a calcio in Colombia per fortuna è un po’ cambiato negli ultimi anni, perché quando io ho iniziato non era ben visto e nemmeno c’erano molte bambine che giocavano. E questo è stato anche il nostro progetto come Nazionale Colombiana, non solo rappresentare la Colombia in campo, ma anche fuori, cambiando un po’ l’immagine che le persone avevano delle calciatrici, di quello che siamo e di come vogliamo ispirare tante bambine. Il calcio ti apre tante porte, ti dà la possibilità di conoscere tante persone da ogni parte del mondo, ti permette di vivere un sogno. Questo ti dà la forza di lottare ancora di più con tutto quello che hai, perché va oltre il calcio”.
Per tutte le calciatrici è essenziale avere il supporto dei genitori che a volte, per fortuna sempre meno di frequente, non comprendono questa scelta di vita. Catalina, con il tempo, ha trovato in sua mamma una delle sue più grandi fan.
“Mia mamma all’inizio quando ho iniziato a giocare mi chiedeva perché non facessi uno sport più da donna, però quando ha visto che la mia passione non si poteva fermare, che era qualcosa che avevo dentro di me, si è innamorata anche lei del calcio e a volte ora fa fatica a vedere le partite, perché si innervosisce! Mi appoggia completamente e questa è una delle cose che mi fa continuare a giocare, che mi tiene qui“.