«Sono gioie che restano». Fabio Melillo è l’allenatore della Roma Primavera Femminile, quel gruppo che una settimana fa ha portato a casa il titolo di campione d’Italia 2019-20. Lo scudetto ottenuto battendo la Juventus a Tirrenia in finale è il frutto del lavoro di due anni di vittorie e traguardi sfiorati, poi della preparazione durante il lockdown, fino al trionfo.
Cosa significa per te questo titolo?
«Nello Scudetto c’è l’essenza di quello che cerchiamo noi. Lavoriamo per queste emozioni e per farle vivere alle ragazze che a questa età vogliono veder nascere la loro carriera. Quella medaglia sul petto aumenta la loro consapevolezza, la loro ambizione. Vedere la gioia di tutti, giocatrici, staff dirigenti, dopo il fischio finale è stata la cosa più bella. Mi sono messo in disparte a guardare per quanto ero fiero di aver contribuito a tanta felicità».
È anche il primo successo targato Roma Femminile.
«Nasce dalla programmazione di tutto il settore. Chiaramente è un titolo più “facile” di quello per cui lotta la prima squadra, dove all’inizio il gap con le altre squadre era più ampio. Noi sin da subito abbiamo potuto selezionare i migliori talenti della Regione, dalle Academy, dal pre-esistente settore giovanile della Roma e dalla stessa Res. Sapevamo che quello della Primavera sarebbe stato il nostro primo prodotto competitivo a questi livelli. Eravamo pronti, e per questo vanno ringraziati anche i dirigenti».
Quali sono le fasi chiave della stagione?
«Sicuramente i derby con la Lazio vinti segnando sette gol e subendone zero. Erano i primi derby nel femminile e ne siamo orgogliosi, quello di andata poi è stato un’apoteosi anche dal punto di vista tecnico. Però ci metto anche le vittorie con la Fiorentina a Firenze e con l’Empoli. Quello che resta di più però è il percorso delle ragazze con dei numeri quasi impensabili. Se mi avessero detto a inizio biennio che avremmo vinto più del 90% delle partite non ci avrei mai creduto. Il merito è tutto delle ragazze e dell’applicazione con cui fanno le cose».
Diciotto vittorie su diciotto. Cos’hanno in più delle altre squadre?
«Certamente sono ragazze cui vengono insegnati dei concetti, ma hanno una capacità di renderli vivi in campo che è incredibile. Nei momenti di difficoltà nel corso di questi due anni hanno dimostrato un carattere che ha sorpreso anche noi. E poi con il lavoro e la determinazione hanno ottenuto un grande risultato. Loro solo il futuro. Nella loro crescita la differenza la fa anche una struttura organizzativa che quest’anno non ha sbagliato proprio nulla».
C’è un momento in cui hai capito che avreste trionfato?
«Io ho detto loro che avrei dato cinque anni di vita per vincere il primo titolo della Roma Femminile, per quello che rappresentano questi colori per me e per il lavoro che facciamo. I loro occhi durante la preparazione il giorno della partita mi hanno fatto capire tutto. Hanno saputo trasformare le ultime finali perse (per lo Scudetto 18-19 contro l’Inter ai rigori e al Torneo di Viareggio 2020 contro la Juventus ndr.) in energia positiva. L’approccio è stato importantissimo e ormai hanno una consapevolezza tale che sanno giocare con più moduli a memoria, per questo avevamo impostato la partita in maniera diversa rispetto al solito. Dopo l’infortunio di Battistini c’è stato un attimo di difficoltà ma con le parole giuste è tornato tutto in ordine. Tutte, in campo e fuori, hanno fatto il meglio per la Roma».
Dalla Prima squadra sono scese, tra le altre, anche Corrado e Corelli.
«Due predestinate. Le vedo spesso in allenamento e hanno l’atteggiamento giusto. Non pretendono, lavorano per imparare e aspettano la loro occasione. Heden ha una maturità incredibile a dispetto dei suoi sedici anni. Corelli anche mi dà tanto orgoglio. Con noi è determinante, ma anche vederla all’esordio con le grandi con quella personalità fa capire che tipo di giocatrice possa diventare. Con questo atteggiamento arriveranno sicuramente lontano. Nel femminile, a differenza dei ragazzi, chi scende dalla Prima squadra lo fa sempre con voglia questa è una caratteristica molto importante».
È il primo trofeo dell’era Friedkin.
«Non abbiamo ancora avuto modo di parlarci, ma la società non ci fa mancare nulla e sappiamo di essere al centro della progettualità dirigenziale anche per il futuro, non ho dubbi. Mi hanno fatto piacere i complimenti di Fienga e Zubiria».
Il rapporto con Bavagnoli?
«Collaborazione assoluta. Lavoriamo per gli stessi concetti di calcio e cerchiamo di dare un’identità condivisa. È una sinergia sotto tutti i punti di vista, automatizzata, sempre per valorizzare questi colori».
Come si trovano le motivazioni in vista della nuova stagione?
«Ne ho già parlato con le ragazze, sono certo che non avremo problemi di mentalità. Basta vedere quello Scudetto al centro del petto e ripensare alla fatica fatta per arrivare a questo punto per vincere ancora».
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