Il mondo dello sport italiano si mobilita per chiedere allo Sporting Locri di non cedere alle minacce e di scendere in campo il prossimo 10 gennaio cancellando l’annuncio del ritiro. Un’ondata di sdegno e solidarietà che ha coinvolto tutti, dal presidente del Coni Malagò fino al numero uno del calcio italiano Tavecchio: tutti uniti per dire che non si può cedere al ricatto e darla vinta a chi non vuole che la squadra di calcio a 5 della città calabrese smetta di partecipare al proprio campionato.
Una storia che ha fatto il giro d’Italia in poche ore e che è finita anche sul prestigioso Telegraph inglese, spingendo il prefetto di Reggio Calabria a predisporre un servizio di scorta per i dirigenti della società finiti sotto i riflettori. Il pressing nei confronti del presidente Ferdinando Armeni è forte, perchè il ritiro della squadra sarebbe un segnale di resa inaccettabile.
La vicenda di Locri è, però, solo l’ultimo episodio di un anno nero per il calcio femminile in Italia. Polemiche, scandali, proteste e uno sciopero saltato: tappe vissute in dodici mesi in cui le donne del pallone hanno cercato di affermare la propria dignitià e di far diventare realtà le promesse elettorali di Tavecchio che proprio al calcio femminile aveva dedicato un capitolo del suo corposo programma di governo. Gli esiti? Ancora da verificare anche se qualcosa si è mosso.
Belloli e i “soldi alle quattro lesbiche”
Il 2015 del calcio femminile passerà alla storia per la frase pronunciata dall’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, nel corso di un Consiglio finito su tutti i giornali: “Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche“. Tredici parole messe a verbale e costate la sfiducia a Belloli dopo una settimana di improbabili difese. Tra i primi a scaricare Belloli proprio Tavecchio, che sulle donne era scivolato anni prima nella gaffe sulle “handicappate” ritirata fuori nell’estate rovente dell’elezione a presidente Figc. Polemiche, accuse e difese, ma anche il tentativo di fare qualcosa di concreto per un settore in perenne crisi, dove le atlete sopravvivono a suon di rimborsi spese e pochissime ricevono uno stipendio. Dell’idea di costringere i club a costituire anche una sezione femminile, però, al momento non c’è traccia.
Lo sciopero (rientrato) e la multa per lo striscione
Temi finiti dentro il calderone dello sciopero proclamato e poi rientrato a metà ottobre, in concomitanza dell’inizio del campionato. Le donne del pallone non volevano scendere in campo, spalleggiate dal sindacato calciatori, per chiedere che la Figc facesse qualcosa di concreto per loro. Questione di soldi (mezzo milione di euro per l’attività ), garanzie per chi gioca in club a rischio e regole da scrivere per un settore alla perenne ricerca di stabilità e visibilità . Vertenza momentaneamente chiusa con un pareggio. Poi si vedrà .
Sui giornali, però, le donne erano finite per l’assurda ammonizione con multa alle calciatrici di Brescia e AGSM Verona, colpevoli di aver mostrato uno striscione di protesta (“Ci sono punti da conquistare che valgono più di quelli in classifica”) prima della finale della Supercoppa italiana a Castiglione delle Stiviere.
La finale di Coppa Italia senza linee del campo…
Se si vuole uno spaccato di quale sia la condizione femminile nel calcio italiano, però, è sufficiente leggere le cronache della finale di Coppa Italia tra Brescia e Tavagnacco ad Abano Terme. Partita già preceduta dalle polemiche dopo che le semifinali era state disputate con un ritardo di 15 minuti per chiedere le dimissioni di Belloli causa frasi sulle lesbiche. Chi c’era racconta (e scrive) di un match giocato su un campo in condizioni limite, con l’erba non tagliata e le linee tracciate mentre già le calciatrici si stavano sfidando. Cronache da terzo mondo calcistico, insomma. Un po’ come questo orribile 2015 chiuso con una storia che di sportivo ha poco ma che, ancora una volta, investe proprio il pallone in rosa.
Fonte: www.panorama.it