Ci sono allenatori italiani che vincono all’estero come Ancelotti o Ranieri, senza avere la stessa pubblicità. Dodici scudetti in Italia, Golden player dell’Uefa nel ’97, oggi tecnico di successo certificato dalla conquista della Gold Cup con il Canada, l’equivalente degli Europei per il Centro-Nord America. Eppure in Italia sembra non esserci spazio per lei.
Lei è Carolina Morace, la più fulgida leggenda del calcio italiano in rosa, che da qualche anno è stata costretta a emigrare. “Se avete seguito la mia carriera, sono sempre stata una persona diretta. Ma questo ovviamente mi ha portato all’estero”. In Italia intanto il presidente Tavecchio ha presentato una riforma del calcio femminile. Viene da chiedersi come mai non sia nel progetto Carolina, che certo qualcosa sul movimento può dirla.
Lei che idea s’è fatta della riforma Tavecchio?
“Siamo un paese gestito da anziani e questo influisce su tutto. Ma per me il presidente Tavecchio è stato l’unico a fare qualcosa. Il problema non è l’età anagrafica, ma di mentalità, di stare al passo con i tempi. Vedendolo dall’Australia, dove vivo, vedo le cose in modo ancora più chiaro. Lì, quando Belloli se ne uscì con la frase sulle 4 lesbiche, le mamme di alcune ragazzine della mia Academy sono venute a dirmi ‘ma come siete messi in Italia?’. Questa è l’immagine che rischia di trasferire all’estero il nostro paese. Io penso che potrei dare una mano: sto facendo un progetto Fifa, visto che sono tra le loro “legend” e sarei in grado di confezionare il prodotto di una riforma”.
Da dove partirebbe Carolina?
“In Italia sento parlare di “calcio femminile nelle scuole”. Ma di che parliamo? E’ aria fritta, le scuole non hanno nemmeno le palestre, figurarsi un campo di calcio. E purtroppo basta che lo dica qualcuno e viene ripetuto a macchinetta da tutti. lo sport da noi è fatto dalle associazioni dilettantistiche. In Australia le bambine giocano a calcio, ma lì ci sono i campi”.
Ora invece l’idea è cercare di affidare lo sviluppo ai club maschili.
“Quello che ha fatto Tavecchio è la cosa giusta: devi partire dalle società. E per quanto imporre sia sempre difficile, io cercherei di invitare i club di Germania, Inghilterra, Francia e Spagna chiedendo come mai le società maschili lì hanno “aperto” alle donne e cosa ci hanno guadagnato”.
Quindi secondo lei il calcio femminile può garantire nuovo risorse ai club della serie A?
“Oggi che non ci sono risorse è difficile chiedere a un presidente di investire nel calcio femminile, lo capisco. Ma magari bisogna fare capire che le donne possono portarti altri sponsor, altre partenership. E poi devi produrre idee in grado di attrarre. Il professionismo è nato con l’ingresso degli sponsor: bisogna però rendere vendibile il prodotto, e le donne possono aprire a nuovi marchi: secondo voi aziende di estetica oggi investirebbero in un club di serie A? Se invece quel club fosse associato ad un’immagine al femminile…”.
Una domanda nasce spontanea: come mai Cabrini può fare il ct della nazionale femminile mentre una donna che allena gli uomini è ancora un’idea tabù?
“Io non mi sento spodestata se un uomo ha le qualità e le qualifiche per allenare e viene scelto a guidare le donne. A volte però ad allenare le squadre femminili sono uomini che non hanno storia e sono soltanto ‘amico dell’amico dell’amico’. Ora sono contenta che Patrizia Panico sia entrata nello staff di una nazionale maschile (l’Italia under 16, ndr). Mi piacerebbe vedere allenatrici o ex giocatrici a commentare partite, tante ne hanno la cognizione. Bisogna trovare posti di lavoro anche per il fine carriera delle donne”.
E’ una questione sessista?
“A me un dirigente ha detto: non ti prenderei mai perché se fallisci non fallisci come allenatore. Hai fallito in quanto donna e mi massacrano. Ma non è solo il calcio. La storia degli ultimi vent’anni in Italia ha detto che si può diventare ministri senza meriti specifici ma per altro. In questi giorni ho letto titoli su atlete “cicciottelle” ai Giochi. L’avrebbero fatto su dei ragazzi il titolo sarebbe stato lo stesso? Non credo”.
Viene da chiedersi: possibile che una leggendadel calcio femminile non venga presa in considerazione, parlando di riforme nel settore?
“Non lo so, intanto sto facendo un progetto di sviluppo con la Fifa. Da noi nemmeno in una pubblicità viene scelto un allenatore donna. In Australia però tutti mi hanno spalancato le porte, e certo non avevo conoscenze. Lì basta il merito per trovare le porte aperte. Forse, facendo una battuta, in Italia il problema è che uso bene i congiuntivi…”.