Abbiamo accolto il punto di vista di un decano della panchina come l’allenatore dell’AGSM Verona Renato Longega su un aspetto fondamentale come la comunicazione. Dopo una lunga carriera come giocatore e trainer nelle società maschili dalla stagione 2005/2006 è iniziata la storia d’amore tra il mister classe ’59 e la squadra femminile del Verona prima con il Bardolino ed ora come AGSM.
Quattro scudetti, tre Coppe Italia e altrettante Supercoppe più tanti bei piazzamenti in UEFA Women’s Champions League con l’acuto della semifinale del 2008, una carriera di successi per una persona che ha attraversato tutto il percorso di cambiamento del calcio femminile. Chi meglio di lui può darci una testimonianza sul modo di gestire la comunicazione in un club.
“Il motto che mi ha sempre accompagnato definisce il messaggio centrale del mio lavoro: una persona vincente sa perdere, impara dalle sconfitte senza trovare scusanti né alibi”.
Un assunto che chiarisce fin da subito la filosofia di Longega.
“Nel calcio di oggi un allenatore non può più limitarsi al lavoro sul campo, deve essere un manager, calarsi completamente nel contesto in cui agisce dialogando con i media, un aspetto quest’ultimo che non va sottovalutato”.
Come gestire la comunicazione interna con tutte le componenti del club e quella esterna con i mezzi di comunicazione?
”Sono due aspetti da interpretare separatamente, con tutte le anime della società bisogna fa rispettare le regole con coerenza. All’esterno bisogna trasmettere un’immagine specchiata del club, difendere le ragioni delle proprie scelte con i media, evitare di sottolineare le colpe dei singoli ed esaltare il gruppo. I problemi poi si risolvono nello spogliatoio. Il bello del calcio femminile è che resiste ancora una certa dose di spontaneità quindi con gli organi d’informazione possiamo ancora curare rapporti genuini, poco retorici e stereotipati”.
Entriamo nell’ambito della capacità di comunicare la filosofia di lavoro ed i concetti a un gruppo di calciatrici.
“C’è un approccio generale che coinvolge la squadra ed uno soggettivo rivolto alla singola calciatrice che attraversa un momento particolare o richiede esigenze specifiche”.
Questo trattamento non può generare equivoci in un gruppo?
“Assolutamente no perché se un allenatore dimostra correttezza ed equilibrio è chiaro alle altre ragazze che il mister sta affrontando una singola situazione nell’ottica del rafforzamento del gruppo”.
C’è una differenza nella comunicazione ad un calciatore o a una calciatrice?
“Gli uomini tendenzialmente sono più razionali, le donne sono emotive, complesse e quindi più ricche di sfaccettature e brillanti nella loro espressione come persone. Quindi c’è da prendere tutto il bello della ricchezza caratteriale di una donna ma va miscelato con il gruppo. Razionalità ed equilibrio sono le due componenti essenziali di un mister che non devono però soffocare la parte emotiva di una donna”.
Uno stimolo in più per un allenatore o semplicemente una difficoltà?
”E’ un lavoro che ti migliora non solo come professionista ma anche come persona. Le calciatrici come donne ti spingono a dare sempre di più, a cogliere aspetti e segnali che un uomo tende a sottovalutare. Credo che la razionalità e l’equilibrio possano convogliare queste qualità nell’ambito di un obiettivo collettivo”.
Ci può fare un esempio di comunicazione efficace?
“Mi è rimasta impressa una gara di Champions giocata qualche tempo fa con l’Arsenal. Alla fine del primo tempo eravamo sotto di due gol, la squadra bloccata, le gambe e la testa delle calciatrici non andavano. Negli spogliatoi ho guardato le ragazze negli occhi ed ho chiesto semplicemente di cosa avessero paura? Non erano inferiori alle avversarie, era una semplice partita di calcio da vivere fino in fondo scrollandosi di dosso ogni timore. Conclusione? Abbiamo pareggiato al ‘93”.
Una reazione in campo a una pressione che ultimamente si sta facendo sentire anche nell’ambito dell’informazione.
“Sono tranquillo, le ragazze sono professionali e preparate, sanno che il calcio femminile sta attirando l’attenzione dei media e sono consapevoli del ruolo che devono rivestire. Sono brave davanti alle telecamere, estroverse ma mai sopra le righe. Dimenticano tutti gli strascichi emotivi del campo e si presentano ai media con la mente lucida. Insomma noi siamo pronti, ora sta agli organi d’informazione metterci alla prova”.
Un concetto finale che Renato Longega esprime con un sorriso benaugurante.
Fonte: www.lnd.it