È cosa nota: coltivare la propria passione calcistica senza essere professionisti richiede grossi sforzi. Ancora maggiori se il tuo è un lavoro organizzato in turni che a volte si sovrappongono agli orari degli allenamenti e delle partite. Ma se quella passione di cui sopra è veramente autentica, un modo per farla convivere con le responsabilità lavorative si trova. Specie i tuoi compagni di viaggio sono quelli giusti.
Ne offre una testimonianza diretta Simona Innocenti, partita dalle giovanili biancoazzurre e oggi parte della squadra in lizza per la Serie A. Una stagione di impegni sempre più pressanti dal punto di vista sportivo, ma anche di responsabilità crescenti sul fronte lavorativo, lei che di mestiere fa l’Operatrice Socio Sanitaria presso un centro per disabili di San Marino. Eppure, grazie al suo spirito di sacrificio, e grazie alla disponibilità delle persone che ha accanto, la magica alchimia si è trovata. E così Simona ha potuto vivere senza grandi rinunce quella che rappresenta la stagione più importante nella storia di un ambiente, il calcio femminile sammarinese, che lei conosce fin dai suoi esordi.
“Arrivare a questi livelli avendo alle spalle oltre 15 anni in biancoazzuro significaprovare tanto orgoglio e soddisfazione. Nello sport non c‘è niente di scontato o regalato, e per me ha un sapore ancora più speciale poter calcare un palcoscenico come la Serie B assieme alla San Marino Academy, che considero la mia seconda famiglia. Il tanto tempo passato con indosso questi colori rende tutto ciò semplicemente stupendo.”
Tanto tempo, ma si fa per dire. Simona non ha nemmeno 28 anni. E l’amore per il pallone che rotola su un prato verde ha riempito, finora, circa due terzi della sua vita. “Ho iniziato all’età di 9 anni ed è stato subito amore a prima vista. La mia passione per il calcio nasce dalla Juventus e soprattutto dai miei genitori super tifosi. Ricordo che a San Marino non esisteva ancora una vera e propria squadra: quando ho iniziato eravamo pochissime ragazze che andavano ad allenarsi al campo insieme. Era tutto agli inizi, non c’era tutto quello che c’è oggi. Ho iniziato a giocare insieme a mia sorella: lei ha lasciato dopo qualche anno, io invece non ho mai smesso.”
Se la passione non conosce pause, la militanza in biancoazzurro sì: una soltanto, e forzata. Ma in ogni caso breve. “Per due anni sono andata a giocare a Coriano. Il problema è che a San Marino, ai tempi, non c’era una formazione Under 19, e io volevo continuare a giocare con le ragazze della mia età anziché fare subito il salto in Prima Squadra. Parliamo del periodo tra il 2008 e il 2010. Sono stati anni bellissimi, per tanti aspetti i più belli da quando gioco. Li ricordo con molta nostalgia. Oggi sono ancora convinta che quella sia stata la migliore scelta che potessi fareper la mia crescita personale e calcistica.”
Negli anni a venire, il settore femminile sammarinese ha completato il perfezionamento delle proprie strutture fino ad arrivare alla situazione odierna, dove la scala che porta dal settore di base alla Prima Squadra non ha gradini mancanti. Anzi, è curata con grande attenzione in ogni sua componente, sulla scorta di quella generale crescita del movimento che si può toccare con mano anche nella vicina Italia. “Credo che oggi le opportunità per le piccole calciatrici siano aumentate tantissimo, e questo è senz’altro un bene per tutte quelle ragazze che vogliano provare a fare di questo sport qualcosa in più di un semplice passatempo. Non nego che anche a me sarebbe piaciuto avere a disposizione strumenti simili e inseguire il sogno del professionismo. Ma sono contenta che per le bimbe di oggi ci siano e penso che il movimento femminile sia destinato a crescere ancora, sempre di più. Spero però che non si perda quella cosa che ha sempre contraddistinto il calcio femminile rispetto a quello maschile: la vera passione. Vedere che si sta investendo tanto in questo settore fa davvero ben sperare: mi auguro solo che si vada sempre e solo verso il miglioramento.”
Prima dell’emergenza Covid-19 la quotidianità di Simona si divideva fra lavoro e calcio. Fra la struttura per disabili presso cui presta servizio e il campo da gioco. Far convivere pacificamente le due metà del suo mondo non è sempre stata una passeggiata. Ma con qualche aiuto e soprattutto grazie alla sua forza di volontà, questo matrimonio si è fatto. “Mentirei se dicessi che è facile lavorare e giocare. Specialmente negli ultimi anni, le difficoltà sono aumentate. Facendo l’OSS in un centro residenziale per disabili e lavorando sempre nei weekend e nei giorni festivi, non è stato affatto semplice portare avanti questo impegno. La società però mi ha dato una grossa mano: quando è stato possibile mi hanno dato dei permessi sportivi per poter affrontare le trasferte domenicali, mentre quando giochiamo in casa cerco di cambiare il turno lavorando la mattina. Dopodichè, filo dritta al campo. Per gli allenamenti vale lo stesso discorso: ho sempre cercato di cambiare il turno, quando possibile, per non saltarne neppure uno. Se proprio non posso essere presente, il giorno dopo chiedo il programma individuale e lo svolgo per tenermi al passo con le compagne. Il nostro staff è sempre presente ed estremamente disponibile verso le nostre esigenze. Davvero non posso lamentarmi.”
In questi mesi, però, il calcio è uscito temporaneamente dalla quotidianità di Simona, come da quella di tutte le compagne. Per lei, anzi, gli ultimi tempi sono stati un periodo di trincea, dato che il centro in cui lavora ha ospitato purtroppo uno dei focolai più critici del territorio. Anche se adesso il peggio sembra alle spalle. “Molte persone che vivono all’interno della struttura, pur essendo ancora positive al test, non presentano più sintomi e quindi stanno bene. La cosa positiva è questa. Noi operatori siamo chiamati a proteggerci e a comportarci nel più totale rispetto delle norme igienico sanitare. Questo era vero prima ed è ancor più vero ora. È pesante, per tutti. Per questo speriamo di ritrovare la normalità il prima possibile.”
Il calcio, comunque, tornerà. E per Simona significherà probabilmente indossare ancora quella maglia con il numero 10. Già, ma perché proprio il 10? “Il 10 è il numero di Alessandro Del Piero, per il quale ho sempre avuto un debole. È uno dei due numeri più significativi per me. L’altro è il 23.”
Per anni Simona ha condiviso il campo con un gruppetto di ragazze sammarinesi più o meno sue coetanee. La maggior parte di loro è poi uscita dal giro del calcio giocato, per motivi diversi. Ma nel lungo tempo passato assieme ci sono state occasioni, come le partecipazioni ai Tornei della Pace, in cui si sono ritrovate in qualche modo a rappresentare il proprio Paese con indosso la maglia biancoazzurra. Quella squadra, ovviamente, non era una Nazionale. Ma ha comunque regalato loro una suggestione che, senza dubbio, merita un posto particolare fra le memorie di una carriera. “Ho bellissimi ricordi di quelle esperienze. Sono state occasioni di crescita sotto tutti i punti di vista.Sono sincera, mi sarebbe piaciuto tanto giocare in una Nazionale vera e propria, ma sotto questo aspetto credo di dovermi rassegnare, perché ormai sono entrata nella parte finale della mia carriera. Sono certa che saranno più fortunate le generazioni future: loro, sì, potranno vivere l’esperienza più bella che ci sia.”
Credit Photo: Federazione Sammarinese Calcio Femminile