Alla fine degli anni ’50 le Ferrovie dello Stato istituirono una relazione ferroviaria con funzione di treno periodico estivo che doveva collegare Verona a Viareggio. Con il passare degli anni la tratta ha subito tante modifiche toccando di volta in volta nel suo percorso Brescia, Bergamo, Parma, Livorno e Pisa. La cosiddetta “Freccia della Versilia”, nell’epoca di Italo e delle frecce di vari colori è tuttora esistente e funzionante tutto l’anno. Partendo da Verona si attraversa tutto il nord Italia e si arriva fino al cuore della Toscana. Un percorso che probabilmente nell’immaginario di uno dei nuovi acquisti del Mozzanica non risulterà poi tanto nuovo. Giorgia Motta, per anni colonna del Bardolino Verona, squadra della sua città, dalle terre scaligere un giorno partì allungando il percorso dalla Versilia fino alla Sardegna via traghetto, per poi ripercorrere le tappe delle “Freccia” all’indietro, passando per Firenze e infine per la bergamasca Mozzanica. Lei che nata sulla fascia destra, di sfrecciare avanti e indietro per il campo ne sa sicuramente qualcosa, è la prima nuova arma nell’esordiente arsenale di mister Garavaglia.
Com’è iniziata la tua carriera di calciatrice?
Ho iniziato a otto anni con i maschi, nella squadra del mio paese. Raggiunto il limite di età per giocare con i ragazzi ho dovuto scegliere una squadra femminile. Ero già stata contattata da alcune società di Verona e la scelta cadde su Bardolino, dove sono restata per 12 anni, due nelle giovanili e gli altri tutti con la prima squadra. Nel 2005 aderendo al progetto Erasmus mi sono trasferita in Spagna e in quella stagione ho giocato con il Torrejon. Dopo questa parantesi di calcio e studio spagnolo, sono ritornata a Verona. Il Bardolino ha rappresentato per me tanto: giocavo nella squadra della mia città, una squadra che ho visto crescere. Nei primi anni ricordo le batoste prese dal Foroni, che allora era l’équipe più forte, ma nel giro di qualche stagione siamo cresciute tanto da conquistare tre scudetti e arrivare in semifinale di champions league, un risultato che ancora oggi non è stato più raggiunto da nessuna squadra italiana.
Di quel periodo quali sono stati i momenti più speciali?
Ce ne sarebbero tanti. Era una squadra davvero forte, ad un certo punto nell’undici titolare c’erano sette nazionali, un mix di campionesse, ma anche di ragazze nate e cresciute lì, come me o Valentina Boni, ma anche Michela Ledri che era la più piccola. Degli scudetti vinti il terzo ha avuto un sapore particolare, poiché lo abbiamo conquistato nella gara decisiva contro la Torres, la grande rivale di quel Bardolino. Ma l’apice è stata la cavalcata in champions league, culminata con la semifinale col Francoforte, giocata al Bentegodi davanti a 12000 tifosi. Ai quarti di finale affrontammo il Broendby: l’andata
finì 1-0 per loro a Verona, con una Brunozzi che aveva parato di tutto e ci aveva tenuto in piedi. Il ritorno in Danimarca fu un’apoteosi. Tuttino segno un goal fantastico e “Santa Carlina” fu ancora determinante sia nei novanta regolamentari, che ai supplementari, che ai rigori dove ne parò due. Noi tirammo i rigori più brutti della storia, ma si vedeva che quella sera niente poteva andare storto e alla fine della lotteria dagli undici metri fummo noi a trionfare. C’era anche Elkjaer a vedere la partita e alla fine venne a farci i complimenti e festeggiò con noi. Per me che sono sempre stata tifosa dell’Hellas sembrava un sogno, indossavo anche una maglia con scritto “Elkjaer Sindaco”.
E poi arrivò la Torres…
L’ultimo anno al Bardolino avvenne una specie di passaggio di consegne tra le due società, nel senso che per la prima volta da anni perdemmo contro la Torres i due scontri diretti e lo scudetto andò a loro. Al termine del campionato la maggior parte di noi decise di cambiare squadra, io fui cercata dalla Torres dove l’anno prima si erano trasferite Panico e Sorvillo. Non fu una decisione così facile, perché voleva dire andare a star via di casa, lasciare la squadra della mia città. Ma i timori si rivelarono infondati, perché l’ambiente Torres si rivelò una grande famiglia dove ti accolgono nel migliore dei modi. Torres è qualcosa di speciale, c’è un calore particolare, la maglia ti si appiccica davvero alla pelle. Anche lì abbiamo vinto tanto, ma poi anche quella realtà fu rovinata e per rovinarla ce ne voleva davvero. Godevamo del sostegno economico della regione e davvero sarebbe bastato poco per far continuare tutto. Per me scoprire che tutto sarebbe finito è stato un shock.
L’anno scorso hai giocato con la Fiorentina, la prima società italiana interamente legata alla corrispondente maschile.
Quell’estate fu particolare perché fino all’ultimo non sapevamo cosa sarebbe stato della Torres. La Fiorentina mi chiamò e accettai quasi subito, in maniera istintiva. E’ stata un’esperienza importante, dove ho potuto giocare in una società perfetta sotto ogni punto di vista. Ma il calcio femminile ha delle peculiarità che lo rendono speciale, sentirsi parte di una famiglia vuol dir tanto e questo a Firenze non è stato. Lì non mi sentivo Giorgia Motta, ma solo un numero. Lungi da me di fare polemiche però, il professionismo è questo e, ti ripeto, la società viola è una realtà perfetta da questo punto di vista.
E infine Mozzanica
Sono sincera, è stata la scelta più facile che abbia fatto in vita mia. Quando sono stata contattata dal Mozzanica non ci ho davvero pensato due volte. Volevo tornare in una realtà più vicina a come piace a me vivere il calcio e sono contenta di aver fatto questa scelta.
Sei arrivata qui in un momento purtroppo coinciso con la scomparsa del Presidente Luigi Sarsilli. Hai avuto la possibilità di conoscerlo?
Non personalmente. Già lo scorso anno fui contattata dal Mozzanica proprio da lui in persona telefonicamente e mi diede subito l’idea di una grande persona, con una grande passione per la sua squadra e ti dirò che la sua presenza si sente ancora. E’ difficile da spiegare, ma anche per noi che siamo appena arrivate e non abbiamo avuto contatti con lui in passato questo si avverte.
Giocherai con il numero 13, è un numero che ha qualche significato particolare?
Non proprio, in realtà io avrei voluto il 3 o il 21, ma erano entrambi già occupati. Ma tu dimmi perché un portiere deve avere il 21? (infatti il 21 è stato scelto da Alessia Capelletti). E così ho scelto il 13, così almeno il mio 3 in parte ce l’ho.
A Mozzanica sarai impiegata probabilmente sia come centrale che come laterale destro che poi è il tuo ruolo naturale.
Sì è vero, ma già alla Torres per un certo periodo ho giocato centrale, mentre a Firenze ho giocato come centrale ma della difesa a tre, quindi non ultimo uomo comunque. In queste prime partite sono stata impiegata di più al centro e per me in ogni caso va bene, ovunque
vorrà farmi giocare il mister non è un problema. Giocare al fianco di Angela Locatelli è sicuramente una bella cosa, lei è una giocatrice che mi piace tanto e a poco a poco stiamo affinando l’intesa.
Che obbiettivi deve avere questo Mozzanica?
Intanto ci divertiremo di sicuro e poi non si può mai sapere. Quando una squadra parte per tanti motivi con qualche handicap poi spesso e volentieri nascono le annate migliori. E’ meglio quando l’aspettativa non è alta, possiamo giocare con meno pressione.
Il nuovo mister del Mozzanica è Elio Garavaglia, che viene da esperienze diverse ed è al primo campionato nel femminile. Che impressione ti ha fatto?
Io credo che sia stata la scelta giusta da parte della società. Il Mozzanica quest anno riparte un po’ da zero, e dare il timone in mano ad un volto nuovo per tutte noi non può che fare del bene. Il suo arrivo ha portato una ventata di aria nuova, con lui si parte tutte alla pari e in questo modo potremo solo crescere tutti insieme.