“Il progetto dell’Aquila Montevarchi femminile è nato nell’estate del 2016 grazie alla volontà di alcuni ragazzi del posto, tra cui il sottoscritto, che già operavano nel settore maschile della società. Alcuni avevano già esperienze con formazioni femminili a livello amatoriale. C’è stata la forte volontà di provare a creare una realtà di calcio a undici visto anche il boom che stava vivendo il movimento in quel periodo. Siamo riusciti a convincere un gran numero di ragazze, tra futsal e altre realtà locali, portandole a Montevarchi. Col passare degli anni ci siamo evoluti vincendo anche il campionato di Promozione toscana finendo in Eccellenza dove siamo tutt’ora”. Ha molto da raccontare e si vede Jacopo Poggesi, classe 1988, Direttore Responsabile del settore femminile dell’Aquila Montevarchi. Il club dell’entroterra toscano sta vivendo una stagione molto positiva e punta all’obiettivo di balzare in Serie C Femminile arricchendo così il numero di squadre toscane nella categoria. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente e si è gentilmente offerto di raccontarci la sua esperienza con il club toscano ma anche di parlarci, in generale, dell’evoluzione che sta vivendo il calcio femminile in Italia. “Dopo la pandemia c’è stata la svolta come progetto – continua Poggesi –. La squadra maschile del Montevarchi è entrata a far parte dei professionisti mentre con le ragazze abbiamo costruito un vero e proprio settore giovanile composto da cinque selezioni sotto la prima squadra e circa 80 calciatrici iscritte al club”.
Qual è l’obiettivo della squadra in questa stagione?
Il nostro scopo finale mai dichiarato, nel senso che non ne abbiamo mai parlato con nessuno, è quello di vincere il campionato. Le nostre ragazze si allenano tre volte a settimana e la loro attitudine ha fatto sì che ciò non diventasse una pesantezza. Vogliamo far bene e cercare di arrivare in Serie C per dare anche continuità alle nostre giovani. Per emergere hanno bisogno di un campionato più distribuito sul territorio nazionale.
Quali sono i modelli di riferimento a cui si ispira la vostra società?
In questi giorni abbiamo stipulato un accordo di collaborazione con il Chievo Verona Women dove lavora Simone Lelli come DS (ex Arezzo ndr). Abbiamo collaborato spesso con lui e ci siamo trovati molto bene. Tra l’altro stanno facendo un’ottima annata in Serie B e il loro gruppo è piuttosto giovane. La volontà del Montevarchi è quello di puntare su giovani emergenti, abbiamo ragazze non esperte ma con un buon bagaglio di esperienza. A livello di Serie A io ho sempre avuto un debole per il Sassuolo che ha operato molto bene sia nel maschile sia nel femminile. Abbiamo anche attinto qualcosa a Fiorentina ed Empoli essendo squadre toscane.
Cosa ne pensa lei da dirigente dell’evoluzione del calcio femminile?
Il progresso sta avvenendo in maniera repentina. Quando noi siamo venuti allo scoperto in Serie A stavano nascendo altri club seguendo l’esempio della Fiorentina. Oggi non è più una novità e l’ambiente ha capito che ci sono anche le donne. Anche all’Aquila Montevarchi prima il femminile era visto più come una cosa accessoria, oggi invece ne riconoscono l’importanza e stanno investendo molto. Si sta evolvendo tutto in maniera veloce e lo vedo anche con le famiglie come si approcciano al calcio. Sta diventando un qualcosa di naturale, uno sport a tutti gli effetti che può praticare chiunque.
C’è qualche suggerimento che si sente di dare ai vertici del movimento?
Direi loro di prestare maggiore attenzione alla base del movimento; ossia ai campionati giovanili regionali e al settore dilettantistico. Le ragazze di domani arriveranno da lì. Purtroppo vedo che ancora queste categorie sono abbandonate a loro stesse mentre meriterebbero maggior visibilità, come nel maschile. Sono una parte consistente della base del movimento su cui bisogna lavorare di più.
Cosa cambierà con l’arrivo del professionismo?
Probabilmente ci sarà un livello più alto che potrà avvicinare l’Italia agli altri paesi che hanno investito nel calcio femminile prima di noi. Farà in modo che alcune realtà più consolidate possano competere con le società inglesi, tedesche e francesi. Lo vediamo anche con la Juventus Women in Europa che sta facendo un percorso da vera squadra professionista. Potrebbero esserci delle difficoltà, tipo un distacco importante dalle realtà più piccole. O magari delle società che, se non degnamente supportate a livello di economia e strutture, non reggerebbero l’urto (vedi Florentia San Gimignano ndr). Le sorprese si esauriranno come purtroppo sta accadendo anche nel maschile. Squadre che saliranno nella massima serie ma che poi, inevitabilmente, torneranno alla loro dimensione originale.
Molte delle vostre calciatrici di quest’anno giocavano con l’Arezzo. Che rapporto c’è tra voi e le amaranto?
Da quest’anno il Montevarchi, investendo sulle giovanili, può confrontarsi con altre realtà. Empoli, Fiorentina e Pistoiese sono squadre che ora possiamo incontrare sui terreni di gioco. È importante dare una spinta a tutte le società affinché aiutino le ragazze ad avviare la loro carriera. Noi siamo la quarta società che dispone di ogni categoria giovanile. Sarebbe bello se potessero farlo tutte. Sui rapporti io cerco di essere sempre collaborativo, con l’Arezzo si era creata una situazione un po’ burrascosa ma è acqua passata. La loro ambizione è di andare in Serie B e il patron Anselmi non lo nega. Stanno facendo un bel campionato e lotteranno fino alla fine per la promozione e sarebbe importante, come regione Toscana, avere un’altra società ad alti livelli. Nel Montevarchi ci sono tante ragazze che giocavano con l’Arezzo, anche nelle giovanili. Abbiamo raccolto il loro testimone visto che loro, prima del Covid, avevano lavorato molto bene con le giovanili mentre ora stanno ricostituendo il settore.
Come si fa ad avvicinare le bambine a giocare a calcio?
Io sono dieci anni che opero nei settori giovanili. La cosa che deve diventare naturale è che bisogna smettere di considerare una ragazza come se non possa fare questo sport. Le donne devono poter praticare calcio persino coi maschi se necessario. Sembra difficile mettere insieme maschi e femmine sul campo, invece poi, all’atto pratico, le bambine stimolano i ragazzini a fare meglio. Si deve promuovere il calcio come sport praticabile e vivibile da tutti. Una bambina che può dribblare, segnare ad un portiere e vincere una gara contro i maschi ottiene maggiore consapevolezza nei propri mezzi. Andando avanti con l’età poi è necessario intraprendere un percorso diverso in una selezione totalmente femminile, ma all’inizio bisogna mostrare il calcio in tutta la sua naturalezza.
Parlando di molestie e violenza psicologica. Le è mai capitato di assistere ad un episodio?
Personalmente no. È una fortuna perché quando un settore come quello femminile viene assimilato nel calcio assorbe i lati buoni ma anche quelli negativi. Non ho mai assistito a situazioni in cui genitori o collaboratori potessero far scaturire qualcosa. Purtroppo però questi episodi esistono e magari in futuro diminuiranno. A livello di pensiero in Italia siamo bravi a far nostre considerazioni e modi di pensare ma poi, all’atto pratico, non siamo mai totalmente allineati. Situazioni del genere sfociano spesso nell’ipocrisia. Quando in Lega Pro viene selezionato un arbitro o un guardalinee donna, qualcuno spesso fa commentini sessisti quando invece bisognerebbe considerarla una situazione assolutamente normale. È una questione che si associa un po’ al problema dell’integrazione. I giovanissimi sono la parte bella di questo perché le differenze tra loro sono azzerate. C’è molta strada da fare, e spero che il calcio femminile non inglobi quei valori negativi che purtroppo ancora persistono nel mondo dello sport.
E secondo lei come si può combattere questo fenomeno?
Servirebbe una maggiore educazione nei confronti di tutti, uomini o donne che siano.
Cominciare ad essere mentalmente predisposti affinché non sia rimarcata la differenza di genere. Serve istruzione, che parta dalle scuole, per fare in modo che certi comportamenti non avvengano in futuro. Bisogna superare questo livello di inciviltà ed investire nell’educazione. Capire che quando si agisce in modo negativo, non si fa male ad un uomo o ad una donna ma a tutta la società. Partire dal basso, essendo educatori in tutto per tutto, per migliorare.
Credit Photo: Aquila Montevarchi Women