Guglielmo Stendardo, ex difensore di Lazio, Juve ed Atalanta, ora avvocato e professore di giurisprudenza alla LUISS, ha spiegato ai microfoni di Calcionews24 la situazione drammatica dal punto di vista economico che sta passando il movimento calcistico femminile.
Si parla molto di riforme, tutele e professionismo: tanti concetti che sembrano ancora molto astratti. Qual è il primo passo da fare?
«Il primo passo è la modifica della legge 91/81. Manca un contratto di lavoro subordinato e mancano tutte una seria di tutele per gli sport femminile. Se parliamo di calcio femminile parliamo di tutele sanitarie, previdenziali, di maternità… Una serie di tutele che sono all’interno del contratto di lavoro subordinato».
Milena Bertolini ha dichiarato: “Auspico che da questa crisi esca un calcio che dia spazio al professionismo”. Secondo lei è uno scenario possibile?
«Io mi auguro di sì. Dal punto di vista legislativo bisogna intervenire affinché ci sia un contratto di lavoro subordinato e intervenire significa modificare l’articolo 2 e l’articolo 10 della legge 91/81 e fare anche una rivoluzione culturale. Dobbiamo partire dal principio di uguaglianza della Costituzione. È assurdo che nel 2020 non ci sia nessuna donna atleta che maturi la pensione. Partiamo dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Se entriamo in ambito sportivo c’è la legge 91/81 che considera professionisti solo alcune categorie e credo che vadano modificati l’articolo 2, che non include le donne, e l’articolo 10, che presuppone che ci siano criteri oggettivi per stabilire chi diventa professionista e quali sono le qualifiche diventare professionista».
L’ingresso nel calcio femminile delle società professionistiche maschili ha aumentato la visibilità. Potrebbe aiutare anche nel passaggio al professionismo?
«Assolutamente sì. L’entrata e l’interesse di club professionistici come Juventus, Inter, Fiorentina, Roma, Lazio, ha incentivato il processo di crescita di questo movimento, però non basta. Occorrono riforme strutturali, proposte concrete e di sistema con meno politica, per salvaguardare un mondo. Bene che siano entrate società professionistiche, ma occorre una rivoluzione culturale per incentivare un mondo che parte dal basso. Occorre sapere che il calcio femminile potrebbe diventare un mondo di professioniste. Ci auguriamo che possa arrivare questa riforma».
All’inizio del suo mandato Gravina ha parlato di semiprofessionismo per il calcio femminile. Sarebbe una soluzione attuabile?
«Potrebbe esserlo fino ad un certo punto. In tema di diritti e di tutele abbiamo bisogno di un contratto di lavoro subordinato. Con la modifica della legge 91/81 andremo a garantire una tutela sanitaria, un’assicurazione contro i rischi, trattamento pensionistico, uno stipendio adeguato, perché è assurdo che non ci sia un salario minimo soprattutto per le ragazze di Serie A e Serie B. Oggi ci sono solo rimborsi spesa, ma in alcuni casi mancano anche questi. Ci sarebbe poi una tutela in caso di invalidità, l’assenza del vincolo sportivo fino al 25esimo anno di età. Poi ricordiamoci che le donne non maturano la pensione, ma anche gli operatori uomini che lavorano in questo mondo non hanno nessun tipo di tutela. Penso ad esempio agli allenatori».
Nel 2022 la finale di Champions si giocherà a Torino e le bianconere sognano di raggiungerla. Secondo lei, ottenere tutele e garanzie maggiori, potrebbe portare al raggiungimento di un simile traguardo?
«Io me lo auguro. Un motivo in più per poter raggiungere il professionismo è questo. È l’auspicio di persone di buon senso che credono nella Costituzione. È assurdo che nel 2020 le atlete in ambito sportivo, e mi riferisco a tutti gli sport, non abbiano le tutele previste dalla Costituzione. Anche la risoluzione dell’Unione Europea, del 5 giugno 2003, che prevedeva la non discriminazione è rimasta secondo me inattuata in alcuni punti, soprattutto per quanto riguarda le tutele. Il fatto di spostare l’Europeo al 2022 credo sia una scelta saggia per dare visibilità maggiore al calcio femminile, rendendola come unica competizione di quel periodo.
Questo torneo, ma anche la finale di Champions, spero possano incentivare ancor di più la classe dirigente e chi dovrebbe dare delle riforme per portare il calcio femminile verso delle riforme. Questo è un momento difficile e mi auguro che da questo periodo si possano trarre delle opportunità per riformare il mondo dello sport che ha bisogno del recupero di alcuni valori sociali, culturali, umani. Sappiamo benissimo che è anche un business, ma non dimentichiamoci che l’essenza dello sport è il coinvolgimento attivo che preveda tutele e diritti per tutti».