La Cus Bicocca conquista la permanenza in Eccellenza Lombardia. Le bianconere, al debutto nel massimo campionato regionale lombardo, hanno centrato la salvezza all’ultima giornata di campionato, grazie all’1-1 arrivato in casa del Cesano Women: Sofia Del Stabile porta in vantaggio la formazione milanese, ma le cesanesi trovano il pari grazie a Marilena Moramarco.
Con questo pareggio la Cus chiude il suo primo anno in Eccellenza al tredicesimo posto con ventitré punti, frutto di cinque vittorie, otto pareggi e diciassette sconfitte, e se questo obiettivo è stato raggiunto, il merito va sicuramente alla squadra, ma anche a chi l’ha messa in campo: stiamo parlando di Davide Piccarreda, coach delle bianconere dal 2019 e, in quattro anni, ha saputo portare la squadra dalla Promozione all’Eccellenza, fino alla conferma in questo torneo arrivato domenica. La nostra Redazione ha raggiunto Davide per risponderci ad alcune domande.
Davide, cosa vuol dire per te essere un allenatore?
«Essere prima di tutto responsabile. Le calciatrici hanno passione, sogni, fanno rinunce. L’allenatore deve sentire la responsabilità di tutto ciò. Non è un mestiere facile anzi troppo spesso viene minimizzato, ma per allenare non basta avere passione o essere stati giocatori, bisogna studiare, aggiornarsi e farsi parecchie domande. Allenare vuol dire vivere costantemente nell’incertezza. Detta così sembra un incubo, ma poi c’è tutta la parte a me molto cara che riguarda lo sviluppo dei legami con le giocatrici. Conosco abbastanza delle loro vite, del loro passato e delle ambizioni, adoro conversarci e non solo di calcio, coinvolgerle attivamente. Questo crea empatia, fiducia reciproca ecco perché spesso nei momenti difficili siamo riusciti a tirare fuori il meglio».
Come ti sei avvicinato al mondo femminile del calcio?
«Negli ultimi anni da giocatore, a trentaquattro anni mi sono iscritto alla facoltà di Scienze Motorie, già in quell’occasione ricordo delle lezioni sul calcio femminile. Fresco di laurea, collaboravo col CGB di Brugherio e quell’anno arrivò una squadra di CSI a sette femminile. Chiesi al mio amico Cosimo Penta, che oggi è allenatore nell’Eccellenza femminile in Puglia, che prese in gestione quella squadra di poter collaborare insieme a lui. Da allora entrambe non siamo più tornati».
Cosa ti ha portato quattro anni fa a diventare coach della Cus Bicocca?
«Ho la consuetudine a giugno di sentire i vecchi compagni di squadra tra questi c’è Giuseppe Calbi il presidente del Cus Bicocca. In quell’occasione mi propose di allenare una squadra maschile, ma io rilanciai subito con la femminile, volevo provare l’esperienza a undici. Mi richiamò dopo un paio di giorni. Eravamo entusiasti soprattutto di ritrovarci».
In quarantotto mesi sei riuscito a portare la Cus Bicocca dalla Promozione all’Eccellenza. Ti saresti mai immaginato di fare questo percorso?
«La prima stagione fu interrotta dal Covid e fino a quel momento il bilancio era di un punto in sedici gare e ottanta gol subìti. La seconda venne interrotta per lo stesso motivo dopo la prima giornata, perdemmo undici a zero. Direi che i presupposti per salire di categoria l’anno successivo non c’erano per niente. Però ti dico anche che nella prima giornata di campionato della mia terza stagione, per l’appunto quella della promozione, mentre ero in macchina verso il campo, mi prese un forte nodo alla gola. Dopo tante sconfitte pesanti sentivo per la prima volta che stavo andando a giocarmi una partita alla pari. In quella gara battemmo il Varese in casa e fu la prima vittoria della mia gestione».
Facciamo un passo indietro e parliamo di come arrivata quest’anno la salita in Eccellenza, ovvero tramite ripescaggio, dopo che la squadra l’aveva sfiorata nella finale play-off di Promozione. Che effetto ha fatto per te?
«È bene fare chiarezza su una cosa. I playoff servono a stilare una graduatoria e la vincente è la prima ripescata, non passa di diritto come chi ha vinto il campionato. Detto questo il nostro obiettivo l’abbiamo centrato in pieno ed era vincere i playoff del nostro girone. Sapevamo infatti ancor prima della finale che entrambe le squadre sarebbero state ripescate. La partita col Città Di Brugherio era indubbiamente la ciliegina sulla torta, ma è contro il Varese che abbiamo strappato il pass per l’Eccellenza. A termina di quella gara ricordo di essere scoppiato a piangere, incredulo per ciò che era appena accaduto».
La stagione attuale del Bicocca, la prima in Eccellenza, è arrivata raggiungendo la salvezza. Come è stato raggiunto questo risultato?
«Una delle mie ragazze in un post ha scritto “Non importa quante volte cadi, ma quante mani trovi pronte a rialzarti”. Ecco la mia fortuna è quella di avere un gruppo di “Senatrici” che da sempre porta avanti questa filosofia nel gruppo. Per loro lo spogliatoio è il miglior posto dove esultare dopo una vittoria e ritrovarsi dopo le sconfitte. Poi c’è Francesco Picco il mio compagno di viaggio nonché Direttore Sportivo, persona senza la quale sarebbe stato impossibile raggiungere questo traguardo. È il punto di riferimento di questo progetto, non lo senti mai, ma quando ti volti c’è sempre e se inciampi è sempre pronto a sorreggerti. Per rispondere alla domanda, l’abbiamo raggiunto con le persone».
C’è una partita in cui tu e la squadra avete capito che la permanenza sarebbe diventata realtà?
«Indubbiamente la vittoria fuori casa contro il Lecco. Abbiamo giocato una partita straordinaria, sempre in vantaggio e con grande determinazione. Durante la stagione abbiamo perso qualche punto negli scontri diretti, dovevamo quindi fare qualche vittoria pesante per rimediare e Lecco lo è stata. Questa gara ci ha portato consapevolezza, fiducia ma soprattutto a nove punti di vantaggio sulle inseguitrici. A quel punto il destino era nelle nostre mani».
La certezza aritmetica è giunta nell’1-1 di domenica in casa del Cesano. Punto giusto o bottino pieno mancato?
«A Cesano abbiamo avuto diverse occasioni per chiudere la partita, ma anche col Varese la domenica precedente potevamo fare tutt’altro risultato visto le numerose opportunità create e salvarci anzi tempo. Ma come dico sempre alle ragazze il calcio di meritocratico non ha nulla, viceversa è cinico, vince chi sbaglia di meno, quindi sì, i risultati, compreso quello di domenica, sono sempre giusti. Posso solo aggiungere che è stata una partita combattuta fino alla fine».
A chi vuoi dedicare questa salvezza?
«In primis alla mia compagna Alice che oltre a non farmi mai mancare il suo supporto, tra qualche mese mi renderà padre. Al presidente Calbi che ha sempre creduto in questo progetto e che nei momenti difficili ha saputo rassicurare me e la squadra, e poi a mio padre e tutti quei genitori, amici, parenti che ci hanno seguito con grande entusiasmo e passione ogni domenica».
Che impressioni hai avuto sul campionato lombardo di Eccellenza di quest’anno?
«Quest’anno abbiamo incontrato parecchie giocatrici provenienti dalla Serie C e anche B. Per quanto il livello sia alto e difficile è altrettanto affascinante. L’unica pecca secondo me è la mancanza dei playoff. Ci sono tante squadre che giocano mesi senza un obiettivo stimolante a tal punto. Per me il calcio è vivere emozioni forti e, personalmente, tra un sesto posto e giocarmi una salvezza alla trentesima giornata, preferisco di gran lunga la seconda».
Qual è la formazione del torneo di Eccellenza Lombardia che ti colpito in positivo?
«Indubbiamente il Monterosso al quale rinnovo le congratulazioni per il risultato raggiunto. Oltre all’aspetto tecnico ho apprezzato la sportività di tutto l’ambiente. Un plauso credo vada fatto anche al Casalmartino che da neopromosso ha raggiunta la salvezza in anticipo nonostante le evidenti difficoltà logistiche».
Secondo te, come sta il calcio femminile lombardo?
«Credo goda di ottima salute, basti guardare i risultati della Lombardia nel torneo delle regioni. L’auspicio è che le società già presenti sul territorio riescano a consolidarsi nel tempo e che forse ci sia una maggior tutela per quelle realtà che logisticamente sono più svantaggiate. Ho già detto prima del Casalmartino ma mi vengono in mente anche l’Albosaggia Ponchiera o la storica Pontese che ad esempio oggi non c’è più».
Ora c’è una domanda che ti faranno in tanti: resterai alla Cus Bicocca anche il prossimo anno?
«Sono più di trent’anni che sono nel calcio ed una società così è unica nel suo genere. Come ormai sapete, da noi possono giocare ragazze che studiano o hanno studiato in Bicocca, ciò vuol dire che non posso andare dal mio Ds e fargli la lista della spesa delle giocatrici che vorrei, ma al contrario è come dover preparare la miglior cena con quello che c’è in frigo, ma sia chiaro ci sono anche ingredienti di primissima scelta. Questo aspetto, per quanto possa essere a volte limitante, lo trovo estremamente formativo, ti apre la mente. Qui la crescita delle giocatrici e il loro percorso vengono prima del risultato. Questa squadra è formata al novanta percento da ragazze alla prima esperienza, o che non erano state riconfermate o ancor più grave che avevano abbandonato, ecco perché i nostri successi hanno un peso specifico differente. Alla Bicocca ho trovato la realtà su misura per me».
La Redazione di Calcio Femminile Italiano ringrazia il Cus Bicocca e Davide Piccarreda per la disponibilità.