Al centro del parco Mediceo di Pratolino (FI), l’artista fiammingo Jean de Boulogne, conosciuto anche come il “Giambologna”, realizzò una statua alta più dieci metri, metà uomo e metà montagna, rinominata “Colosso dell’Appennino”. La statua rappresenta gli aspri monti Appennini, ardui da superare. La figura dell’uomo che sembra uscire dal lago sottostante, schiacciano con la mano la testa di un serpente, dà allo stesso tempo una sensazione di forza e grande serenità. Le stesse caratteristiche che mister Garavaglia e la società nerazzurra cercavano in colei che avrebbe dovuto affiancare Giulia Rizzon al centro della difesa del Mozzanica. Non ci è dato di sapere se il tecnico meneghino sia un amante dell’arte post rinascimentale, ma certo Eleonora Piacezzi sarebbe stata una perfetta musa ispiratrice per il Giambologna. Dotata di un fisico statuario, impossibile da valicare, possente, ma anche in grado di dar tranquillità alle compagne di reparto. Un vero “colosso” posizionato nella contraerea a impedire gli assalti degli attaccanti avversari.
Nome: ELEONORA PIACEZZI
Soprannome: IL COLOSSO DELL’APPENNINO
Segni particolari: INVALICABILE
Come inizia la tua carriera di calciatrice?
“Ho iniziato a cinque anni con i maschietti nella squadra del mio paese: Cassano d’Adda. Raggiunta l’età in cui il regolamento non lo consente più, ho dovuto abbandonare il maschile e sono andata all’Atalanta femminile nella quale sono rimasta per quattro stagioni, prima con le giovanissime, poi con la primavera e con la prima squadra. Con le più grandi ho esordito in serie A a quattordici anni a Verona, nella stagione che ci ha visto purtroppo retrocedere. L’anno successivo eravamo in A2, con una squadra formata tutta da ragazze giovanissime, allenate da Samantha Ceroni che ho ritrovato qui come mister della primavera. A sedici anni purtroppo però tutto finì e così ho dovuto fare una scelta…”
Una scelta non facile: tu giovanissima, dall’A2, a due passi da casa, lasciasti il “continente” per approdare nella più forte squadra Italiana di quegli anni, la Torres.
“Al termine del campionato i dirigenti della Torres, contattarono l’allora presidente dell’Atalanta Maraglino, chiedendo di me e in seguito mi telefonarono. Inizialmente pensai ad uno scherzo, ma poi il loro interessamento si concretizzò nell’offerta di trasferirmi nella prima squadra italiana di calcio femminile. Per me era tutto irreale e ammetto che a sedici anni pensare di andare così lontana da casa mi spaventava parecchio. E anche per loro non era così semplice perché ero la prima minorenne che giungeva da fuori. Ma da subito andò tutto bene. La mattina andavo a scuola e al pomeriggio ci si allenava e poi a casa a studiare. Devo ringraziare i miei genitori che in quel momento mi diedero il loro appoggio, anche se papà all’inizio non ne era molto felice.”
Giunta in Sardegna non hai avuto neppure troppo tempo per rilassarti, perché in pratica hai giocato da titolare quasi subito.
“Non proprio subito perché all’inizio ebbi un problema fisico, ma in seguito ho avuto più fortuna. La rosa non era ampissima e un paio di infortuni ad alcune mie compagne mi hanno dato più volte l’opportunità di andare in campo. E poi avere a fianco una giocatrice dell’esperienza di Elisabetta Tona è stato un aiuto notevole. Da lei ho imparato tanto, a parlare in campo, a muovermi correttamente e anche umanamente mi è stata vicina in quel periodo, ma come un po’ tutte del resto. Certo non sono mancate le parole grosse quando sbagliavo, ma anche quello mi ha aiutato a forgiare il carattere. Nelle partitelle di allenamento nessuna voleva mai perdere, si giocava come se fosse un turno di champions. Quella era la mentalità vincente che ha fatto grande la Torres.”
Uno scudetto e un secondo titolo solo sfiorato l’anno dopo. Poi anche a Sassari tutto finisce e tu prendi un’altra decisione, del tutto controcorrente.
“Avevo la possibilità di restare in serie A, ma scelsi di rimanere in Sardegna all’Atletico Oristano, in B. Purtroppo nell’ultimo anno alla Torres mi ammalai di pubalgia e per giocare dovetti ricorrere spesso alle infiltrazioni, con la conseguenza che dopo ogni partita, per un paio di giorni non riuscivo neppure ad alzarmi dal letto. A fine campionato dovetti pensare a cosa fare per poter curarmi, senza dover per forza fermarmi del tutto e la proposta dell’Oristano capitò a fagiolo. Andai contro tutto e contro tutti, ma alla fine fu la cosa migliore che potessi fare. Grazie ai carichi di lavoro meno oppressivi, con calma ho recuperato e sono guarita.”
Dopo la tempesta arriva il sereno: a Cuneo torni a calpestare i campi della serie A.
“Fu un anno importante perché tornata in forma mi sono riaffacciata al calcio che conta, giocando in una squadra con ottimi elementi e che raggiunse l’obbiettivo della salvezza. A Cuneo non avevo più accanto una guida sicura come Tona, ho dovuto mettermi sulle spalle la responsabilità di ragionare in campo solo con la mia testa , aiutando il più possibile le mie compagne di reparto. Il modulo era diverso, si giocava a cinque dietro rispetto alle quattro di Torres, a volte giocavo da ultimo uomo e in altre occasioni ero uno dei due centrali più esterni. Mi servì molto, mi aiutò a crescere ancora e pertanto fu una stagione positiva sotto questo aspetto.”
Infine il ritorno a casa.
“Venni contattata anche da altre società, ma volevo un progetto sicuro e quando mi chiamò mister Garavaglia non esitai. La società la conoscevo, per serietà e per quello che aveva realizzato fino ad ora. L’inizio non è stato facile per nessuno, ma stiamo pian piano crescendo. La fortuna con l’Empoli non ci ha aiutato per nulla. Dobbiamo lavorare tanto, io per prima. Ma resto fiduciosa, altrimenti non sarei qui.” (L’intervista è stata realizzata prima della vittoriosa trasferta di Verona)
A Mozzanica hai ritrovato alcune tue vecchie compagne della Torres:
“Sì ho ritrovato Daniela Stracchi, Gaelle Thalmann e Giorgia Motta, ma anche Valeria Monterubbiano, con cui giocato nelle nazionali giovanili e Lisa Alborghetti, Andrea Scarpellini e Margherita Salvi, mie compagne all’Atalanta in tempi diversi.”
In nazionale hai giocato nelle varie selezioni giovanili e poi un paio di anni fa arriva l’esordio nella nazionale maggiore, nelle due amichevoli giocate con la Cina.
“Ho giocato sia con l’under 17 che con la 19, nella quale sono arrivata quando il selezionatore era ancora Corradini, poi arrivarono alcune convocazioni nella maggiore con Cabrini che mi portò in Cina nel gruppo che doveva disputare due amichevoli con la nazionale della Repubblica Popolare. Giocai titolare nella seconda gara, davanti a 30 mila persone. Un’emozione unica, ero terrorizzata, neppure in foto ci stanno 30 mila persone…”
Qual è stato il momento più bello della tua carriera fino ad oggi?
“Il passaggio alla Torres e tutto quello che ne è derivato. Vincere uno scudetto, giocare la champions contro squadre che dettano legge in Europa e poi stavo bene fisicamente, ero giovanissima e tutto sembrava un sogno.”
Dove può arrivare il Mozzanica, nel breve e nel lungo periodo?
“Con l’ingresso dell’Atalanta nella società credo che si possa andare davvero in alto, non subito forse, ma le cose fatte di fretta poi spesso ritornano indietro. Lavorare con calma e bene ti porta lontano. Quest anno dobbiamo dimostrare ancora tanto, ma penso che col tempo, lavorando sul settore giovanile che deve essere il serbatoio della prima squadra, la società può davvero fare grandi cose.”
Credit Photo: Maria Gatti