Sta per ricominciare la stagione ufficiale delle ragazze, e come sapete non sarà più in Serie C nonostante la salvezza ottenuta sul campo, ma in Eccellenza.
Allargando un po’ lo sguardo al calcio femminile in Italia, è fresca di queste settimane la triste vicenda dei diritti tv della Serie A femminile, la cui asta è in un primo momento andata deserta, per poi veder aggiudicare una partita in chiaro alla Rai e il resto a Dazn a cifre irrisorie. Un fallimento grave, l’ennesimo, del disegno che abbiamo visto in questi anni, che pretendeva di “lanciare” il calcio femminile in Italia partendo esclusivamente dall’alto, dal vertice, anziché coltivare dalla base e con pazienza un movimento sportivo che avesse radici solide.
Di esempi se ne possono fare molti. La corsa di qualche anno fa delle grandi società del calcio maschile a comprare i titoli sportivi del calcio femminile, come se bastasse mettere le magliette delle squadre famose alle giocatrici per accendere la passione del pubblico e generare introiti. Ci viene in mente l’esempio della Florentia San Gimignano, una società che faceva calcio femminile in Serie A in un modo che ci piaceva, coinvolgendo il territorio e riempiendo le tribune, che qualche anno fa fu “convinta” con una certa insistenza a cedere il titolo sportivo alla Sampdoria, la quale poi l’estate scorsa di fronte alle note difficoltà societarie ha seriamente rischiato di dover chiudere la squadra femminile e gettare definitivamente alle ortiche tutta quella storia sportiva.
Allo stesso modo il professionismo, principio in sé giusto, è stato introdotto in fretta e in modo prematuro, senza dargli alcun tipo di base né di sostenibilità. Di nuovo, possono permetterselo solo i grandi club del calcio maschile, destinando al femminile le briciole dei loro stratosferici bilanci, che ci sembra proprio il contrario della parità e della dignità.
Anche la Serie C che abbiamo conosciuto noi è un salto nel buio per le società medio-piccole: vinci un campionato regionale e quello che ti succede l’anno dopo è dover girare mezza Italia decuplicando (letteralmente, non è un’esagerazione) le spese e senza che nessuno si domandi nemmeno come si potrebbe provare a rendere la cosa più sostenibile. “Cavoli vostri, se ce la fate bene, altrimenti amen”.
Noi pensiamo che non si possano forzare i passaggi. Non si può pretendere che milioni di persone si appassionino al calcio femminile, allo stadio e in tv, solo perché alle ragazze sono state messe le magliette del Milan e della Juve e ora sono professioniste. E non è un caso che non stia funzionando. Servono investimenti sull’attività di base, servono generazioni di bambine e ragazze (e bambini e ragazzi) che giocano e che poi vanno a veder giocare quelle più forti. Che si identificano in dei colori, in delle storie, in dei miti e dei modelli. Va incoraggiato questo.
Nel nostro piccolo, pensiamo che sarebbe stato assurdo continuare a dissipare una quantità enorme di risorse per inseguire a tutti i costi un modello sbagliato. Abbiamo fatto un passo indietro per provare a fare quello che sosteniamo dovrebbero fare tutte: costruire la base necessaria perché il calcio femminile possa diventare una potenza autosufficiente e autodeterminata, e non una macchietta del calcio maschile. Creare un settore giovanile, provare a far nascere un seguito di pubblico, costruire negli anni una storia sempre più bella da raccontare, in cui ci si identifica e che ci fa sognare. E che possa camminare con le proprie gambe.
Molte ragazze della prima squadra, quasi tutte, sono rimaste al Lebowski nonostante la delusione della mancata iscrizione in C. Questa è una cosa fantastica, che ci riempie di orgoglio e ci aiuta a mantenere la barra dritta. È il protagonismo femminile a essere decisivo: quello che negli anni si è costruito in Curva, nelle cariche societarie e in tante attività della Cooperativa. Quello che vede ormai in maglia grigionera oltre 100 atlete, dalla scuola calcio alle Mele Toste. E la strada da fare è ancora tanta.
Proprio guardando alle difficoltà del calcio di vertice, quella che appare fondamentale ora è la progettualità, cioè piantare i semi giusti.
Vogliamo tornare a vincere e a scalare le categorie certo, ma non ci interessa farlo in un deserto. Lunga vita al calcio femminile.
COMUNICATO LEBOWSKI