Certo, a volte l’accoglienza non è delle migliori. «No, dai, un arbitro donna no…». E quando inizia la partita, e arriva una decisione dubbia, qualche offesa piove lo stesso, alla faccia della galanteria. Ovvio, non il classico epiteto che mette in dubbio la fedeltà della consorte dell’arbitro maschio. «No, con noi il pubblico è più fantasioso. C’è chi ci invita ad andare a lavare i piatti, chi a fare le lasagne e chi la calzetta a casa». Ma spesso, al fischio finale, il bilancio è positivo. «Ci fanno dei complimenti e ammettono che siamo brave. E’ il destino di noi donne: dobbiamo sempre dimostrare più degli uomini». Vita da arbitre. «Ma chiamateci arbitri, al maschile». Fischietti in rosa: in Liguria ce ne sono dodici, a Genova otto. Come Claudia Camurri, Giosy Castangia, Giulia De Stefano e Giulia Mina, che in una soleggiata mattinata di allenamento a Villa Gentile si sono raccontate al Secolo XIX.
LA FISIOTERAPISTA
Claudia Camurri, 28 anni: «Ho iniziato con mia sorella, 12 anni fa: poi è nata la passione e sono ancora qui. Per una donna arbitrare è più faticoso, soprattutto a livello fisico. Un po’ di diffidenza iniziale c’è, ma in campo sparisce. L’importante è essere umili, non mollare mai. Io ho arbitrato in A femminile e in Eccellenza maschile. Dovendo scegliere, forse, meglio le donne, anche se adoro Totti. Di solito i calciatori con noi si comportano bene, alla fine c’è chi ti fa il baciamano e qualcuno che va oltre e ti invita a cena, ma con simpatia. Per me, se sei arbitro lo sei anche nella vita: cresci come persona. Tenere a bada 22 giocatori, le panchine, il pubblico ti insegna a gestire l’ansia, a conoscerti meglio. Cosa cambierei? Vieterei le partite con la pioggia…(ride)».
LA COMMERCIALISTA
Giosy Castangia, 27 anni: «Commercialista, ma ora insegno. Essere arbitro mi aiuta anche in classe. Spesso ai ragazzi dico: “se mi fate arrabbiare scatta rosso”. Vengo dalla danza, ma sono felicissima di questa esperienza, ho trovato una grande famiglia. Arbitrare ti forgia il carattere, ti dà il rispetto delle regole. Ora faccio il guardalinee e col fuorigioco che cambia sempre non è facile, perché nelle categorie inferiori non tutti conoscono bene le regole. I miei modelli? Rizzoli e Tagliavento. Un bravo arbitro deve avere carisma, farsi sentire senza alzare la voce e noi donne, in questo, ci sappiamo fare. Mi piacerebbe arbitrare Ibrahimovic, confrontarmi col suo caratterino. A volte qualche insulto arriva, ma non bisogna permettere a nessuno di farti perdere la voglia. La Var? Dico no, l’arbitraggio è istinto».
LA STUDENTESSA
Giulia De Stefano, 25 anni, Scienze Politiche: «Arbitro da 8 anni, ora faccio l’assistente e forse è anche più bello: essere in terna alimenta lo spirito di squadra. Quando tifavo, l’arbitro era una “bestia nera”, ma ora vedo tutto con occhio diverso. A volte verso noi donne c’è un po’ di prevenzione, ma se sei brava ricevi anche più elogi. Per arbitrare fai qualche sacrificio, il sabato sera sei a casa presto, ma non mi pesa. Mi ispiro a Rizzoli e, se devo scegliere, meglio dirigere gli uomini, le donne si menano di più (ride)…Episodi strani? Una volta mi sono girata velocemente e ho dato un bacetto involontario sulla guancia a un giocatore. Altre volte capita che uno per strada ti fissa, tu pensi che ci voglia provare e invece ti dice: “Ma tu mi hai arbitrato domenica?”.».
L’IMPIEGATA
Giulia Mina, 21 anni, lavora in una ditta che si occupa di riciclaggio: «Mio nonno aveva una scuola calcio: guardavo le partite ma non capivo granché. Ho fatto il corso da arbitro per imparare le regole e da lì ogni weekend lo passo sui campi. Anzi, anche se non arbitro vado a guardare i colleghi con cui siamo tutti amici. Paura in campo? No, ma forse, a volte, siamo un po’ incoscienti. Se c’è un accenno di rissa provo subito a sedarla, è importante mostrarsi calmi. Prima facevo danza, ma l’arbitraggio ti aiuta anche sul lavoro, a gestire le difficoltà. I giocatori? Ti rispettano anche se sei donna, non vogliono mica farsi buttare fuori, anzi a volte sono più prevenute le femmine. Se la donna arbitro piace? Direi che ha il suo perché. Però succedono anche cose buffe. Tempo fa è venuto a casa il tecnico del computer: dopo un po’ mi ha riconosciuto e si è lamentato per un rigore che gli avevo dato contro…».