Sul sito dell’Associazione Italiana Allenatori di Calcio (A.I.A.C) c’è stata una interessantissima webinar di confronto con Elisabetta Bavagnoli – allenatrice della Roma, Attilio Sorbi – mister dell’Inter, Antonio Cincotta – allenatore della Fiorentina – ed Elizabeth Spina – direttrice del progetto Milan Femminile.
Qui di seguito riportiamo, a sostituzione dell’articolo precedente in cui erano state “riportate” solo delle parti che non rispecchiavano le sue reali dichiarazioni, l’intervista completa della coach giallorossa.
Come avete vissuto questo momento e come le calciatrici hanno vissuto questo momento di criticità?
Abbiamo affrontato questo momento con grande senso di responsabilità. Stiamo monitorando le atlete giorno per giorno, settimana in settimana, e c’è stato un grande senso di responsabilità che hanno avuto nell’allenarsi, perché questo è stato chiesto loro. Noi abbiamo preparato dei programmi da svolgere a casa e questa è stata forse la cosa più difficile. È stato difficile organizzare tutto e potersi allenare in spazi ridotti ma, tenendole monitorate, ho visto una grande attenzione e una grande volontà indomita nel volersi continuare ad allenare e fare tutto il possibile. Non era facile perché ovviamente non ci sono certezze e questo è stato l’aspetto sicuramente più difficile, però l’abbiamo fatto e lo stiamo facendo. Aspettiamo adesso che ci sia anche per noi una seconda fase.
Tu sei stata una giocatrice in tempi molto diversi, l’interesse per il calcio femminile non era lo stesso…
Quando giocavo io la mia generazione era ricca di grandissimi talenti, ma non c’erano tutte quelle opportunità che ci sono oggi; a partire dagli addetti ai lavori fino alla competenza delle gente che ruota attorno al nostro mondo e che ha permesso di continuare a crescere e che ci permette di continuare ad allenare le giocatrici in strutture adeguate. Penso che se ci fosse stato questo tipo di interesse all’epoca, probabilmente ci saremmo tolte anche più soddisfazioni, soprattutto in riferimento alla Nazionale. Io credo che l’attenzione che è stata data con il tempo al calcio femminile sia dovuta proprio ai tanti sacrifici e alle tante lotte che la mia generazione, quella precedente e successiva alla mia, hanno continuato incessantemente a fare per cercare di conquistare un posto all’interno di una federazione e per ottenere quella visibilità. Adesso con quello che ci viene messo a disposizione riusciamo a presentare e a proporre uno spettacolo importante e questa cosa deve essere solo un’ascesa.
Il calcio è cambiato nel tempo, anche negli allenamenti la metodologia è cambiata? Ci sono stati cambiamenti radicali?
Io penso proprio di si, ci sono stati cambiamenti radicali. Quando io ho iniziato a giocare si faceva un calcio fatto di marcature a uomo, non c’era un’evoluzione come è avvenuta in questi anni. Io ricordo con piacere, ma allo stesso tempo con sofferenza, che ogni volta che incontravamo le nazionali più forti era sempre una guerra, un continuo rincorrere queste avversarie fortissime e ricordo la tanta fatica perché non eravamo ancora preparate in un certo modo. Probabilmente non ci eravamo ancora evolute anche nei metodi di allenamento, perciò quello che è successo in questi ultimi venti anni è stato davvero qualcosa di fondamentale. Io sono un’allenatrice a cui piace proporre un calcio propositivo, mi piace avere sempre la palla tra i piedi, mi piace gestire la palla e cercare di costruire gioco, eppure io non lo facevo quando ero una giocatrice perché c’erano comunque delle difficoltà immense, dal punto di vista dell’allenamento e del metodo, quindi ben venga l’evoluzione.
Con riferimento ai gesti tecnici… nel calcio femminile si notato alcune criticità, come nei colpi di testa, i contrasti, i tiri tesi, che opinione hai?
Si sente tanto parlare di passaggio forte, di passaggio veloce, e questo non perché non sia nelle capacità di una ragazza. Io credo che molto dipenda dal fatto che non siamo state per tanti aspetti abituate a sviluppare determinati gesti tecnici o alla ripetitività di alcuni gesti che sono molto importanti, come l’abitudine di calciare forte il pallone. Questo perché magari fino a tanti anni fa nessuno lo chiedeva. C’è veramente un mondo da scoprire, tantissime cose che ancora dobbiamo e possiamo migliorare e per questo che il calcio femminile può ancora diventare davvero una realtà fondamentale in tutto il mondo.
E il ruolo del portiere?
Non voglio prendere il posto di un allenatore dei portieri, posso fare una semplice considerazione. Sicuramente le donne hanno un deficit di forza che può esistere anche in una misura del 25% negli arti inferiori, di questo dobbiamo tenerne conto. E’ ovvio che per esempio in un tiro da fuori, un portiere uomo attacchi lo spazio in avanti leggermente di più rispetto a quello che può fare una donna quando però pensa di ricevere un tiro che, anziché essere teso e forte, può essere un tiro a scavalcare. Quindi quello spazio che c’è tra il punto di partenza del tiro e la linea di porta, se il portiere donna esce e immagina che venga fatto un tiro a parabola, viene recuperato con più difficoltà. Credo che in questo discorso c’entri sempre la nostra capacità di avere una spinta diversa, probabilmente inferiore di forza, ma ci possono essere anche tante piccole differenze. Ad esempio se parliamo del rilancio con le mani, immagino che le donne manchino un po’ nella forza degli arti superiori rispetto all’uomo. Nel rilancio con i piedi penso che però ci sia anche un equilibrio tra forza, coordinazione e tecnica, e quindi magari le differenze si assottigliano molto.
Secondo te sarebbe importante nel programma degli allenamenti inserire partite con squadre di settore giovanile maschile?
Questa situazione non l’ho ancora presa in considerazione se non nella preparazione precampionato perché ci sono stati momenti in cui non siamo riusciti a trovare amichevoli di un certo livello, quindi io sono ancora per fare partite nel precampionato importanti anche con squadre di settori giovanili maschili. Non l’ho ancora presa in considerazione durante un microciclo settimanale perché non vorrei mai trovarmi con infortuni all’interno di una settimana.
L’ho preso in considerazione magari nei periodi di sosta, perché ovviamente noi facciamo amichevoli con la nostra Primavera ma ovviamente, per aumentare il livello di intensità soprattutto durante i periodi in cui ci sono alcune atlete impegnate con la nazionale, facciamo amichevoli con squadre di settore giovanile.
Il rischio infortunio ci può essere, ci sono squadre che si comportano benissimo, ma questa è una cosa che non puoi mai prevedere, non puoi calcolare un impatto che può avvenire in maniera diversa e che può essere anche involontario.
Quando incontriamo le squadre di settore giovanile maschile è evidente che appartengono a società che mettono a disposizione squadre non solo pronte, ma di un certo livello anche da un punto di vista mentale. Sono sempre stati ragazzi che si sono comportati benissimo e che però hanno sempre fatto la loro partita, anzi devo dire che vedendo le nostre ragazze particolarmente agguerrite e toste, in alcuni momenti si sono anche arrabbiati. Ma sono stati anche molto cavalieri.
È più facile resistere alla fatica in campo o resistere ai pregiudizi?
Quando ero ragazzina c’erano tanti pregiudizi, era ovviamente un’epoca diversa, c’era tanto scetticismo. È molto più facile affrontare la fatica in campo, rispetto a questo. Io ero una ragazzina e c’erano tanti problemi da affrontare ma questo ti fa crescere e ti fortifica, ti permette di capire quanta volontà e forza hai per arrivare a quello che sogni, quindi ha fortificato il mio carattere e quello di tutte le bambine che hanno dovuto affrontare queste cose. Grazie a Dio oggi è un’epoca diversa e lo dimostrano le persone e gli uomini che si stanno avvicinando al calcio femminile che lo guardano con un rispetto diverso.
Quali sono le differenze principali di comportamento che un allenatore deve avere con le proprie calciatrici rispetto ai colleghi uomini?
È evidente che c’è da parte dell’opinione pubblica che guarda al calcio femminile, l’idea che chi lavori in questo campo debba avere un approccio emotivo, abbastanza profondo, un atteggiamento che possa mettere le giocatrici nella condizione migliore per poter lavorare. Devo dire che per me l’aspetto umano nei confronti delle mie giocatrici e delle persone che lavorano con me è fondamentale, lo considero di grande importanza.
In cosa si appassionano di più le giocatrici?
Le ragazze straniere, in particolare, hanno una cultura un po’ diversa rispetto alla nostra, sono sempre molto attente e incuriosite e cercano sempre un feedback per quanto riguarda l’aspetto e l’allenamento condizionale. Più in generale, c’è sempre quella voglia di giocare con la palla, stare in campo e fare esercitazioni con la palla piuttosto che fare un lavoro a secco. Non credo ci siano grandi differenze con quello maschile da questo punto di vista.
Dal punto di vista tattico che tipologie di strategie ci sono nel sistema italiano?
Credo ci sia abbastanza varietà di tipologia di gioco. Io cerco sempre di costruire il gioco da dietro, questo in generale viene meglio a noi donne. Viene meglio il fatto di cercare di tenere il pallone tra i piedi e cercare di avanzare e di superare le linee, di avanzare palla al piede e palla a terra. Questo non significa che noi calciatrici non abbiamo la possibilità di eseguire un lancio lungo o di fare un attacco diretto dalla prima linea difensiva, ma dipende dagli avversari che si vanno ad affrontare e da quelle che sono le strategie da affrontare all’interno di una partita. Credo che forse quello che ci può accomunare un po’ tutti sia la voglia e la volontà di giocare con la palla, di costruire gioco. Questo ci accomuna nel calcio femminile.
Ringraziamo Camilla Spinelli AS Roma Femminile Communication and Press Office per il materiale.
Credit Photo: Giancarlo Dalla Riva