A quasi due settimane dall’eliminazione del Giappone alle Olimpiadi di Parigi, si possono trarre le somme su quello che è stato il percorso della squadra asiatica. Con due sconfitte e altrettante vittorie, la Nadeshiko si è fermata ai quarti di finale andando a sbattere contro gli Stati Uniti, la squadra che si è poi aggiudicata la medaglia d’oro. Pur non partendo da favorite alla vigilia, le giapponesi hanno giocato un match di grande sacrificio e in un controllo quasi totale del gioco, ma la poca lucidità le ha costrette ad alzare bandiera bianca dopo il goal di Rodman e una partita equilibrata che, forse, avrebbe potuto dare qualcosa di più al Giappone e, in un altro contesto, il pareggio; è però opportuno fare qualche passo indietro e vedere cos’è accaduto nei tre match precedenti e analizzare le motivazioni che, forse, hanno bloccato la Nadeshiko a un paio di match dalle medaglie.
La Nadeshiko ha sempre avuto un ruolo centrale nei campionati a livello internazionale, forte di una storia non da poco fatta di vittorie ai Mondiali, come quello del 2011 e un ottimo secondo posto del 2015, e alla Coppa d’Asia, vinta nel 2014 e nel 2018, così come la vittoria del 2019 e del 2022 alla competizione EAFF Women’s Championship, torneo disputato da squadre asiatiche. In poche parole, la storia del Giappone femminile è ricca di punti salienti ma, dal 2022 a questa parte, è evidente che la formazione sta soffrendo, che qualcosa non va come dovrebbe, che ci sono dei punti migliorabili, che manca qualcosa.
La squadra allenata da Futoshi Ikeda, arrivata alle Olimpiadi per salire di nuovo sul tetto del mondo, come alle Olimpiadi di Londra del 2012, aveva però qualche ingranaggio che non girava per il verso giusto e non permetteva alle lancette del suo orologio di funzionare a dovere. Dopo un decennio strabiliante tra il 2011 e il 2022 il declino sembrava inevitabile, come aveva sottolineato anche Emma Hayes per la sua formazione statunitense, che la crisi sta provando a superarla (e si direbbe che lo stia facendo più che bene). Ikeda ha provato, con il ricambio generazionale, a portare forze nuove alla squadra, che allena dal 2021 dopo aver preso in eredità le ragazze dapprima allenate da Asako Takakura, in parte fautrice dei risultati ottenuti dal 2016 al 2021, che ha a sua volta ottenuto le redini da Norio Sasaki, allenatore dal 2008 al 2015. Ikeda ha vinto un trofeo nel 2022, la già citata EAFF Women’s Championship, vinto ben 9 volte dalla formazione giapponese nella storia del torneo, e sembrava intenzionato a creare un gioco capace di condurre la sua squadra in semifinale o, addirittura, in finale. Dopo le due amichevoli in preparazione alle Olimpiadi, vinte con ampio margine dalla squadra asiatica ai danni della Nuova Zelanda, la Nadeshiko sembrava avere tutte le carte in regola per giocare un’ottima Olimpiade e, a conti fatti, ci è riuscita soltanto in parte.
Analizzando le partite disputate dal Giappone nella fase a gironi, la sconfitta contro la Spagna è un esempio lampante dei pregi e dei limiti di questa formazione. Partendo dai limiti, la Nadeshiko ha dimostrato di avere difficoltà ad approcciare il match partendo con il piede giusto: contro la Spagna così come contro il Brasile e gli Stati Uniti, squadre che partivano da favorite sulla carta, le nipponiche hanno cominciato il match come spaventate, chiuse nella propria metà campo e senza riuscire a trovare il guizzo per innescare la ripartenza e andare a colpire la squadra avversaria. Un altro limite che le ha penalizzate è la poca lucidità davanti alla porta e la confusione al momento del tiro, spesso caratterizzato da disattenzioni e, talvolta, da atti un po’ egoistici da parte delle attaccanti alla disperata ricerca del goal che, anziché osservare le compagne e agire di conseguenza, preferiscono andare al tiro, non sfruttando al meglio le occasioni che riescono a creare.
Nel match contro le Furie rosse questa condizione di timore si è ripresentata anche dopo il pareggio da parte della Spagna, che è salita in cattedra e non ha concesso loro neanche un millimetro da lì alla fine della partita: dal pareggio di Aitana al 22′ in avanti, la partita è stata di fatto a senso unico, il Giappone si è rinchiuso nella propria metà campo per proteggere il risultato e sperare di arrivare al triplice fischio con un pareggio, ma la Spagna ha poi raddoppiato quando mancava poco più di un quarto d’ora dalla fine. La Nadeshiko è tornata nel match a sprazzi soltanto durante il recupero per provare a trovare la seconda rete, ma era ormai troppo tardi per impensierire la Spagna, che è riuscita alla perfezione a contenere la loro fase offensiva. Il goal di Fujino, quello che ha sbloccato la partita, è stato soltanto un’illusione e l’unico segno della presenza della formazione giapponese in campo.
Il Brasile ha sicuramente saputo capitalizzare meglio le poche occasioni che è riuscito a creare, sbloccando di fatto la partita dopo un primo tempo equilibrato e, forse, con l’ago della bilancia che pendeva maggiormente verso il Giappone per numero di tiri; a differenza della Spagna, però, nel secondo tempo la squadra sudamericana ha lasciato quasi carta bianca alle avversarie, che hanno cominciato a fare il loro gioco e, nonostante la precisione delle nipponiche sia spesso venuta meno al momento del tiro nello specchio, le brasiliane hanno concesso al Giappone parecchio spazio per andare a colpire, diventando anche più fallose per contenere le avversarie.
Contro la Nigeria, il Giappone ha giocato una partita dai due volti: a un primo tempo ricco di emozioni e di tentativi di andare in goal da parte delle nipponiche, riuscite a segnare ben tre reti, è seguita una ripresa fatta invece di una specie di “contenimento” delle avversarie, giocata perlopiù in difesa a protezione dell’ottimo risultato conquistato, che avrebbe regalato loro l’accesso ai quarti di finale. Come detto in precedenza, la formazione giapponese sia a inizio gara sia a inizio ripresa fa fatica a carburare e ad andare in goal.
Dai dati riportati sul sito ufficiale delle Olimpiadi emerge che la Spagna ha avuto un possesso palla medio del 69%, per contro il Giappone soltanto il 31%. Contro la verde-oro è salito al 43%, e poi al 44% contro la Nigeria.
Andando più a fondo nell’analisi, però, si riesce a capire che il possesso palla del Giappone, spesso inferiore rispetto a quello della formazione avversaria, non deve essere considerato limitante in quanto la loro fase di possesso, seppur ridotta, non è sterile, dunque un punto di forza: i tiri delle calciatrici della Nadeshiko contro la Nigeria sono stati 17, di cui 4 nello specchio e 3 effettivamente goal, quelli contro la Spagna 4 di cui 2 nello specchio e un goal, con la precisione al tiro del 50%, mentre contro il Brasile 16 di cui 6 nello specchio e 2 trasformati in goal, con una precisione al tiro pari al 37,5%. Per riassumere, il possesso palla del Giappone decreta una buona capacità delle calciatrici giapponesi di arrivare al tiro con una precisione che talvolta supera il 50%, ma è un punto che potrebbe essere anche visto come “migliorabile”: studiando Brasile-Giappone, infatti, le occasioni in favore delle asiatiche sono state il triplo rispetto a quelle della Seleçao, che ha totalizzato soltanto 5 tiri in porta nei novanta minuti regolamentari: è dunque buono il numero dei tiri, con numeri che sottolineano la bravura delle nipponiche ad arrivare in area di rigore, ma la freddezza davanti al portiere deve essere incrementata. Anche contro la Nigeria il possesso palla è stato inferiore rispetto a quello delle avversarie e, anche contro la Nigeria, la Nadeshiko ha spesso faticato a trovare lo specchio della porta pur raggiungendo spesso l’area di rigore.
Un altro punto di forza del Giappone è l’importanza di dare fiducia alle giovani. Ikeda ha schierato la classe 2006 Momoko Tanikawa contro il Brasile, e la giovane calciatrice non ha mancato l’appuntamento, segnando forse una delle reti più belle dell’Olimpiade per via della precisione, del gesto tecnico e dell’intelligenza tattica di Tanikawa, che militerà nel Bayern Monaco a partire da questa stagione. Anche Aoba Fujino, classe 2004, ha dato prova di essere già una calciatrice navigata e pronta a coprire il ruolo da titolare in nazionale: la giocatrice in forza al Manchester City ha infatti segnato il primo goal del Giappone dell’Olimpiade e, anche lei come Tanikawa, ha dimostrato la sua precisione con una punizione calciata dal limite dell’area che è arrivata dove il portiere spagnolo non è riuscito a mettere i guantoni. Un’altra certezza di Ikeda sono le sue veterane Saki Kumagai, Mina Tanaka, nonostante sia stata un po’ spenta e sottotono, e Risa Shimizu, sempre pronte a sacrificarsi per costruire il gioco e andare nell’area di rigore avversaria.
In poche parole, Ikeda ha tra le mani una buona formazione con un altrettanto buono bilanciamento in termini di età e di esperienza, con calciatrici giovani che hanno rotto il ghiaccio in un torneo importante con una grinta e una voglia di emergere invidiabili, e altrettante calciatrici più esperte che hanno saputo impostare e imporre il loro gioco anche a una squadra come il Brasile. Quello che manca alle sue ragazze è, forse, un po’ di fiducia già dal fischio d’inizio del match, una fiducia che potrebbe diventare la carta vincente per aumentare ancora di più il controllo del gioco e la precisione davanti allo specchio della porta.