E’ lungo il viaggio da Guiyang a Qujing. Prima il pullman, poi l’aereo, poi ancora il pullman, migliaia di chilometri che si sommano alle 16 ore di volo che domenica hanno portato la Nazionale Femminile in Cina per disputare due amichevoli con le padrone di casa. Ed è affacciandosi al finestrino che Marta Carissimi riannoda i fili di un cammino intrapreso quando era una bambina e che oggi l’ha portata a confrontarsi su un palcoscenico prestigioso come la Champions League, un sogno che si è interrotto solo pochi giorni fa per colpa di un’altra Marta, la campionessa brasiliana carnefice agli ottavi di finale del suo Verona. C’è poi la Nazionale, quella maglia azzurra che la Marta italiana ha indossato giovedì per la 46ª  volta in una gara che ha visto la squadra di Cabrini farsi raggiungere nel finale dalla Cina dopo aver a lungo dominato.

A Guiyang sembravate avere la partita in pugno, poi nei secondi 45 minuti cosa è successo?
“Abbiamo giocato un buon primo tempo, aggredendo le nostre avversarie e pressando alto. Avevamo preparato la gara in questo modo. Poi abbiamo accusato un po’ di stanchezza dovuta al jet lag e siamo calate, anche il campo pesante non ci ha aiutate. Ma non dobbiamo trovare scuse, a livello internazionale non ti puoi permettere di non chiudere una gara, bisogna essere più ciniche. Quando ti capita un’occasione devi fare gol”.

Domenica avrete una nuova chance per tornare a casa con una vittoria.
“Sicuramente abbiamo informazioni in più su un’avversaria che conoscevamo poco, anche se per loro sarà lo stesso. La Cina è stata una grande squadra negli anni ’90, poi hanno avuto un calo e adesso sono di nuovo in ripresa. Noi dobbiamo lavorare sui nostri limiti, soprattutto dal punto di vista atletico. Teniamo bene il campo per 60/70 minuti, poi caliamo. Per questo bisogna continuare ad allenarci intensamente, ma anche acquisire una maggiore maturità per imparare a gestire meglio la partita”.

In Cina vi hanno accolto con grande calore, te lo aspettavi?
“Sì, perché tengono in grande considerazione il calcio femminile. E’ stato bello vedere le telecamere delle emittenti televisive all’aeroporto, le bancarelle fuori dallo stadio che vendevano sciarpe e bandiere e i tifosi cantare per 90 minuti durante la partita. Si respira un bel clima di festa, ci fa piacere e ci fa capire che anche da noi basterebbe poco per fare un bel salto di qualità”.

Il calcio femminile italiano è ancora molto indietro?
“Qualcosa si sta muovendo, anche se siamo distanti dalla visibilità mediatica di cui godono altri paesi. Bisogna andare oltre gli stereotipi che abbiamo in Italia, che esistono non solo per il calcio ma per tutto lo sport femminile. E poi sta anche a noi far innamorare la gente”.
Una buona spinta al movimento potrebbe darla la finale della Women’s Champions League in programma a maggio a Reggio Emilia…
“Mi auguro di vedere lo stadio pieno in modo che anche gli scettici possano ricredersi sul calcio femminile. In Italia ci sono ottimi progetti, l’apparentamento con le squadre maschili può dare grandi frutti e speriamo che anche la finale di Champions possa essere un buon veicolo per promuovere il calcio femminile”.

Con il tuo Verona il sogno di arrivare alla finale si è infranto agli ottavi anche per colpa della tua omonima ‘Marta’.
“Beh, diciamo che in comune con Marta ho solo il nome. A parte scherzi, lei è un fenomeno, non si vincono per caso tutti quei Palloni d’oro. Il rammarico più grande è esserci limitate all’andata a comportarci bene in fase di non possesso, mentre il risultato del ritorno è bugiardo anche se non è un caso se loro con 6 tiri in porta hanno segnato 5 gol e noi con 5 ne abbiamo realizzato solo uno. Il cinismo dipende infatti dalla freschezza che si ha, dalla qualità e dall’esperienza”.

Hai 28 anni e dall’alto delle 45 presenze in maglia azzurra sei una delle ‘veterane’ della squadra
“E’ stata intrapresa una nuova politica, c’è stato un cambio generazionale che richiederà del tempo. La qualità nelle giovani c’è, però bisogna avere pazienza e formarle prima come atlete e come donne e solo dopo come calciatrici”.

Un anno fa hai visto sfumare all’ultimo ostacolo la possibilità di partecipare al Mondiale, quali sono oggi i tuoi obiettivi con la Nazionale?
“L’obiettivo minimo è qualificarci per l’Europeo e dobbiamo farlo da prime del girone. Poi si vedrà, mi piace fare un passo alla volta”.

Facciamo un salto indietro. Come è nata la tua passione per il calcio?
“Da bambina praticavo discipline come judo, pallavolo, pattinaggio e si vedeva che ero portata per lo sport. Poi un giorno mi hanno chiesto di provare a tirare qualche calcio a un pallone e mi è piaciuto. Mia madre diceva che con il primo freddo avrei smesso, ma si sbagliava. E così a 15 anni ho iniziato a giocare con il Torino, poi è arrivato il debutto in Serie A e la Nazionale. All’epoca non c’era l’Under 17 e così ho iniziato ad essere convocata con l’Under 19. Ogni volta che indosso la maglia azzurra è un’emozione unica, un’emozione che mi porterò sempre dentro”.

Fonte: www.figc.it

1 commento

  1. Marta ha ragione, bisogna far innamorare il pubblico. Educare i genitori e far si` che le giovanissime si affaccino al calcio e` la via piu` diretta. Da noi negli USA i genitori sono la fondazione solida dei club, il fatto di avere poi il sistema accademico come partner ovviamente ci favorisce.
    Oggi alla finale universitaria nazionale avevamo 12,000 spettatori e tre canali televisivi che trasmettevano la diretta dell’incontro.

    Un grande saluto,

    Emanuele
    FF Lugano

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