La notizia di una denuncia ai danni dell’Arsenal Women dal valore di £50.000 è di pochi giorni fa ma la vicenda ci riporta indietro di 6 anni. L’oggetto della denuncia è il licenziamento di Robin Carpenter, ex allenatore autistico della formazione Under 15 delle Gunners.

Dopo il licenziamento nel 2014, Carpenter aprì una pratica giuridica contro la società inglese affermando che il suo esonero è avvenuto per motivi futili con l’aggravante di esser trattato meno favorevolmente rispetto gli altri suoi colleghi senza disabilità. Ma bisogna prima vedere come si è svolta la questione.

La rabbia dell’allenatore si è scatenata dopo che aveva confessato al direttore tecnico della squadra John Bayer di ritenere di soffrire di autismo ma che una vera e propria diagnosi non era ancora stata effettuata (conferma che la sia avrà dopo pochi mesi). Dopo pochi giorni dalla confessione, Carpenter si è visto rifiutare il rinnovo per la stagione successiva ritenendo che la dirigenza avrebbe fatto ciò solo per la sua disabilità credendo che avrebbe influito sul suo modo di allenare. Su questo punto l’Arsenal si è messo sulla difensiva tramite l’allora direttrice dello sviluppo del club Clare Wheatley dichiarando che il ragazzo era stato esonerato per delle visioni differenti in termini del gioco e della gestione della squadra.

Dichiarazioni che non sono bastate al giudice che nel 2015 condannò l’Arsenal a pagare £17.200 per risarcire l’allenatore dell’atto di discriminazione avvenuto. Sull’argomento è intervenuto un portavoce dell’Arsenal: “Garantire un ambiente inclusivo è fondamentale per ciò che rappresentiamo come una squadra di calcio. Siamo molto delusi da questa decisione poiché crediamo sinceramente che non vi siano state discriminazioni in questo caso. Tuttavia, accettiamo il risultato e continueremo la nostra missione per rendere l’Arsenal un’organizzazione accogliente e inclusiva per tutti”.

L’unica cosa certa su questo fatto è che il calcio dovrebbe essere un mezzo per unire e non dividere le persone, senza guardare sesso, colore o disabilità; in mezzo al campo siamo tutti uguali, ed è questo il bello del calcio.