Algeri (askanews) – Gli allenamenti per un partita di calcio in coppa di Lega a Relizane, città dell’Algeria settentrionale a ovest della capitale Algeri, non vanno dati per scontati. La Afak Relizane, infatti, è una squadra femminile fondata nel 1997 negli anni bui della feroce guerra civile che dilaniò il paese, un’epoca in cui i gruppi armati del fondamentalismo islamico proibivano alle donne la partecipazione a qualsiasi sport. Ma l’allenatore e le sue atlete rifiutarono di farsi intimidire.
“Decisi di parlare con le ragazze chiedendo se volevano continuare a giocare nonostante le minacce” ricorda Sid Ahmed Mouaz, il coach storico della Afak Relizane. “E tutte hanno deciso di continuare. Se le donne avevano preso le armi durante la guerra d’indipendenza, potevano farlo anche loro per difendere i propri diritti”.
Oggi Fathia Sekouane, 26 anni e capitano della squadra, gioca nella nazionale come cinque altre sue colleghe. La guerra civile è alle spalle ma, assicura, le atlete del calcio femminile devono comunque affrontare molte tensioni e molte critiche in questo paese dell’Africa settentrionale.
“In Algeria tutti hanno problemi con le donne che giocano a calcio. A volte, quando ci vedono giocare in calzoncini ci maledicono e ci insultano. Altri invece sono curiosi. Come a Relizane, dove ci dicono che sono orgogliosi delle nostre vittorie, di gran lunga migliori di quelle dei nostri colleghi maschi”.
Ma spesso le calciatrici vengono apostrofate con frasi del tipo “Ma perché non ti sposi?” oppure “Perché non te ne stai in cucina?”. Alcune cedono alle pressioni, appendono gli scarpini al chiodo e si sposano. Altre invece decidono di continuare a correre dietro a una palla. Con notevole successo.
Negli ultimi anni la squadra ha vinto diversi tornei interni e regionali. Ma le giocatrici continuano a non essere pagate e il club si limita ad aiutarle a trovare un lavoro che le permetta di allenarsi. Vengono riconosciuti solo 12 dollari per ogni gara vinta.