Non dimenticherò mai quella sensazione. Saltellavo in camera mia, mi sono messa una maglietta di mio fratello, una vecchia maglietta del Coventry Club. Sono sicura di avergli rubato anche pantaloncini e calzettoni. Ai miei occhi eravamo tutti uguali. Abbiamo scoperto insieme la nostra passione per quel piccolo oggetto tondo e abbiamo sempre espresso gli stessi desideri: essere liberi di uscire, di giocare e di calciare qualsiasi cosa, ovunque ci trovassimo.
Ho preso un paio di vecchie scarpe di mio fratello, un po’ troppo grandi per me, ma me le sono fatte andare bene. Non volevo certo essere l’unica a starmene fuori a guardare l’allenamento. Ho trovato da qualche parte anche dei vecchi parastinchi. Ero pronta. Pronta per il mio primo vero allenamento con il St Nicolas Boys Club Under7.

Riesco ancora a ricordare l’eccitazione che provavo in macchina mentre andavo al campo. A ripensarci, effettivamente, mia mamma mi stava solo portando in un parco, il solito parco dov’ero stata mille altre volte, solo che questa volta ci sarebbero stati dei palloni in più, degli altri ragazzi e un coach. Quando arrivai non vidi porte, ma solo conetti colorati messi a terra a formare un campo. Non mi importava di pali o porte. Il mio palcoscenico era pronto e non vedevo l’ora di salirci sopra per il mio primo show.

Riesco ancora a ricordare quei 5 o 6 bambini che correvano in varie direzioni, rincorrendo i loro palloni appena calciati. Alcuni andavano dritti verso le “porte”, esultando ogni volta che un pallone passava tra i due coni colorati. Molti di quei ragazzi li conoscevo già. Erano miei amici con i quali giocavo a scuola, ma altre facce erano completamente nuove per me. E proprio questi bambini “nuovi” erano quelli che mi fissavano quando, appena lasciata la mia bottiglietta d’acqua, corsi emozionata verso il pallone più vicino. Erano le loro voci che sussurravano “Ma è una bambina?” e “Giocherà con Noi?”.

Non mi importava nulla. Avevo solo 6 anni, ma non era la prima volta che sentivo quelle parole ed ero perfettamente cosciente che non sarebbe di certo stata l’ultima. Mi gustavo il momento, non vedevo l’ora di fargli cambiare idea. Nella mia città ero l’unica bambina ad aver preso seriamente in considerazione l’idea di giocare a calcio. Le mie amiche ballavano, cantavano, mentre per me l’unica cosa importante era correre dietro a quel pallone. Avevo solo un’opportunità per continuare a seguire la mia passione ed ero pronta a giocare.

Sapevo di poter fare la mia bella figura, anche se i parastinchi mi arrivavano praticamente al ginocchio le mie scarpette erano un po’ grandi, sapevo di poter giocare. Tutto quello di cui avevo bisogno era dimostrare a quei ragazzini che sapevo calciare un pallone e che non avevo paura di affrontarli in difesa. Ero sicura che solo in quel mondo il fatto di essere una femmina non sarebbe stato più problema. E che sarei stata vista come volevo essere considerata: semplicemente come un giocatore di calcio.
L’allenamento non fu molto lungo, un’ora al massimo, ma per me fu infinito. In ogni passaggio, in ogni calcio, in ogni dribbling, mi sembrava di essere nella mia “finale di coppa” personale. Esultavo ai goal come se fosse il più grosso obiettivo raggiunto della mia vita e correvo come una pazza per dimostrare non solo agli altri, ma soprattutto a me stessa, che sì..anche le ragazze possono giocare a calcio.

Anche ora che ho raggiunto 31 anni penso spesso alla Emma di 6 anni. Quella bambina senza paura, così sicura di sé che voleva solamente giocare a calcio, non aveva idea che alla fine avrebbe raggiunto quei i traguardi. Quella bambina mi ricorda che vale la pena lottare ogni giorno per ciò che si ama. Anche quando le cose non vanno per il verso giusto, durante gli allenamenti, durante una partita di campionato, lei mi dà la forza di rialzarmi e continuare. Quella bambina mi ha fatto innamorare di questo bellissimo gioco che è divenuto la mia vita e la mia più grande fonte di apprendimento. Per questo continuerò a sorridere ogni volta che entrerò in un campo con un pallone tra i piedi.


[Testo Originale]
I’ll never forget that feeling. Bouncing around in my bedroom, putting on one of my brothers old Coventry City football shirts. I’m sure I stole some of his shorts and socks too. I wanted to look the part, like everyone else who was going to be there. In my eyes we were all the same. We had all discovered the same passion in this little round ball and we all shared the same desire to go and be free, to kick the thing wherever we wanted!
I took a pair of my brothers old football boots, they were a little too big but It was ok, I didn’t want to be the only one standing out in trainers. I found some of his old shin pads and I was ready. I was ready for my first training session with St Nicolas Boys team Under 7’s.

I can remember the excitement I felt in the car on the way. Effectively all my mum was driving me to was an open field, which I had been to many times before, only today there would be a few extra footballs in the middle of it and a football coach. In fact when we arrived I didn’t even see any goalposts. Instead cones were laid out forming the markings of a pitch. For me it didn’t matter. My stage had been set and I couldn’t wait for my first show!

I could already see 5 or 6 boys running around in different directions after the footballs they had just kicked. Others went straight to the make shift goals, celebrating each ball that passed in between the two cones laid out. Most of them I knew. They were my friends that I would play with at school, but some of the faces I did not recognise. These were the faces I could feel looking at me as I dropped my water bottle and excitedly ran across to the nearest ball, these were the voices I could hear say to each other ‘is that a girl?’ and ‘is she playing with us?’.

I didn’t mind. This was not the first time I had heard these words and even at the age of 6 years old I was very aware that it would not be the last time either. If anything I almost enjoyed the fact I was attracting this attention because with it came the opportunity to change minds. In my town during this time I was the only girl to take the game seriously. While all my friends were interested in dancing and singing, all I wanted to do was run around outside and kick a ball. I only had one option if I wanted to pursue my passion and here I was ready to play.

I knew I looked the part in my kit, even if my shin pads like my boots, were a little too big and reached all the way up to my knees, and I knew that I could play. All I needed was for these boys to see that I could kick a ball straight and that I wasn’t scared of making a tackle. Then I was confident that gender wouldn’t become an issue anymore. Instead I would be seen exactly as I wanted to be seen, as another eager football player.

The training session didn’t last very long, an hour maximum perhaps, but for me it felt timeless. With every kick, every pass, every dribble in the session I was conjuring up my own little cup final scenarios. Celebrating goals as if they were my greatest life achievements and running around like a lunatic trying my hardest to prove not just to everybody there but also to myself that ‘girls really can play football’.

Even now at the age of 31 I often think of 6 year old Emma. This confident, fearless young girl who just wanted to play regardless of who it was with, had no idea she would end up achieving the things she’s achieved. She reminds me every day, if something you love is worth fighting for don’t give up. Even when things aren’t going great; during training, in a game or throughout a season, she’s given me the strength to pick myself up and go again. She lead me to the “beautiful game” thats become my vehicle in life and my greatest teacher and for that I will continue to wear a smile with every single ball I kick.

Emma Lipman
Credit Photo: Florentia Calcio Femminile