Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare, ogni annata calcistica ha una sua storia, tante vittorie, moltissime sconfitte, risate, pianti, insomma un pò di tutto. Di tutte le storie però ce n’è una in particolare che ancora oggi se ci penso mi fa emozionare, non si tratta di un evento in particolare, non è il racconto di una singola partita, ma è il racconto di un’annata, di una squadra formata da persone che forse in poche conoscono, e sicuramente non è una squadra che ha fatto la storia del campionato femminile, ancora non c’erano le attenzioni che ci sono oggi, ma era una squadra che ha fatto del gruppo la sua unica arma e grazie a quello è riuscito a superare tutto.
Siena, annata 2011/2012, campionato serie A2 femminile, che oggi sarebbe la serie B, avevamo iniziato la stagione, sotto la guida tecnica del mister Oliviero Montanelli, detto “Olly”, con il proposito di andare in serie A, la squadra era formata da alcuni volti che probabilmente conoscete,come la giovanissima all’epoca neanche diciottenne Rachele Baldi, oppure Gloria Frizza, o anche le sorelle Giada e Giulia Di Camillo, una piccolissima Irene Mazzella che si è unita successivamente alle innumerevoli vittorie della Florentia, altri nomi che sicuramente a Firenze ricordano bene come l’ex capitano viola Serena Patu e Martina Pitzus anche lei proveniente dalla Fiorentina, oltre a questi nomi ce ne sono tanti altri che meriterebbero di essere conosciuti, come Ilaria Presentini, Valeria Mazzola, Elena Picciafuochi, Eleonora Ricci una delle giocatrici più grintose che abbia mai conosciuto, Jessica Migliorini attaccante dal mancino velenosissimo che solo in quell’annata fece ben 41 goal, e ultima ma non per demeriti Valentina Fambrini, numero 10, capitano, fulcro del centrocampo bianconero e esempio indiscutibile da imitare. L’annata stava andando bene, come previsto eravamo seconde a pochi punti dalla prima, la Grifo Perugia, acerrima nemica degli ultimi anni. Il 14 aprile 2012, che tutti ricorderanno per la morte improvvisa in campo del calciatore Morosini, noi eravamo dirette a Roma per prendere l’aereo per andare a giocare in Sardegna, ovviamente ci annullarono la partita e tornammo tutte a casa. Il lunedì seguente quando arrivammo al campo per allenarci la società ci radunò nello spogliatoio, per una riunione, dove ci annunciarono che il nostro mister aveva deciso di lasciare la guida della squadra, i motivi? ovviamente ognuno diceva la sua, chi diceva che non veniva pagato da mesi, chi che non riusciva più a darci gli stimoli giusti, chi per problemi personali, insomma svariate voci. Oltre a questa notizia ce n’era anche un’altra, cioè che la società era sull’orlo della crisi e non poteva più pagare i compensi a tutte le giocatrici. La dirigenza uscì e nello spogliatoio regnava il silenzio più assoluto, si riusciva a percepire la rabbia, la tensione, si vedevano gli occhi lucidi delle giocatrici rimaste senza parole, un silenzio che durò per qualche minuto. Poi Valentina, il capitano, iniziò a parlare, chiese una per una cosa volevamo fare “Vogliamo mollare tutto o continuare? Fare molti sacrifici o uscire dal campionato a testa bassa?”. I sacrifici prevedevano che molte di noi rinunciassero al proprio compenso, già minimo, per permettere alle compagne che venivano da più lontano di poter avere almeno un rimborso. I sacrifici prevedevano che continuassimo ad allenarci tre volte in campo e una in palestra, i sacrifici prevedevano lavarci la divisa da gara a casa propria. Dopo qualche minuto dal discorso una per una accettammo di continuare, di finire quell’annata contro tutto e contro tutti e non solo scegliemmo di continuare, ma alla fine del discorso decidemmo anche che avremmo finito l’annata senza il supporto di un altro tecnico, le giocatrici più grandi avrebbero pensato agli allenamenti con l’aiuto della preparatrice atletica in via telematica, e anche le decisioni tecniche su chi sarebbe scesa in campo e chi no il giorno della gara le avrebbero prese giocatrici stesse. Ora soffermatevi su questo fatto, 18 giocatrici, uno spogliatoio di donne di diverse età, diversi caratteri, diverse simpatie e antipatie, che si affidano l’una all’altra indipendentemente da tutto e che avrebbero fatto sia da giocatrici che da allenatrici, la prima cosa che viene in mente forse è “queste sono pazze non ci riusciranno mai”, invece accettammo tutte senza alcun dubbio e comunicammo alla società le nostre decisioni. Accettarono, senza entusiasmo, ma accettarono. Iniziò quel giorno la vera e propria impresa, riprendemmo gli allenamenti, unite più che mai, e a darci una mano c’era uomo, Giacomo Migliorini, padre di Jessica, che sempre per decisione unanime del gruppo prese il posto in panchina, no come mister, no come guida tecnica, ma come supporto, come aiuto, come stimolo. Riprendemmo la corsa al campionato con un unico obiettivo, vincere. Conquistammo i play off, forti del secondo posto in classifica, ma non era ancora finita: avevamo ancora la nostra possibilità per andare in serie A.
Il 3 giugno 2012 il primo spareggio, contro la Res Roma, sul campo neutro di Deruta, in provincia di Perugia, chi avrebbe vinto poteva avere una chance di giocarsi la finale per la massima serie. Inizia la partita, l’emozione è alle stelle e l’ansia si sente tutta, una partita equilibrata, difficile, le giocatrici di entrambe le squadre lottano su ogni pallone, su ogni contrasto, su ogni angolo del campo. Triplice fischio e il punteggio è sullo 0-0, supplementari, mentre prendevamo fiato gli sguardi dicevano solo che quella partita la dovevamo vincere, pochi minuti e dentro di nuovo in campo per quella che più che una partita sembrava una guerra. 100°minuto: andiamo in vantaggio con Marraccini, la nostra gioia dura giusto 3 minuti, la Res riporta il risultato in pari con Villani. Si va ai rigori. Strette l’una con l’altra ci diamo forza, ormai la partita sarebbe stata decisa dagli 11 metri, e dopo ben 22 (si avete letto bene 22 calci di rigore) con l’ultimo rigore battuto dal nostro portiere Valeria Mazzola, malissimo per la cronaca, la palla entrò per la nostra immensa gioia.
Il 10 giugno 2012, il giorno della finale, nel campo neutro di Sarzana, a La Spezia, il nostro avversario era il Fiammamonza allenato da un giovanissimo Antonio Cincotta, nella rosa c’erano alcune giocatrici che sicuramente oggi conosciamo, come Alessandra Nencioni, ex giocatrice della Florentia, Cecilia Re attuale centrocampista della Florentia San Gimignano, Elena Ripamonti, Michela Cambiaghi, insomma una bellissima rosa, una squadra veramente forte, tanto che la nostra vittoria era quotata al 10%, ma questo non ci dava per vinte anzi, ci metteva ancora più voglia. La partita ebbe inizio alle 16 in punto davanti a una cornice di 400 persone, che per i tempi erano tantissime, ovviamente quasi tutti tifosi del fiammamonza, ma anche se pochi i nostri si facevano sentire. Dopo pochi minuti la qualità e la forza del Fiammamonza si fece subito sentire, ma noi sapevamo soffrire e il primo tempo terminò sullo 0-0. Inizia il secondo, noi iniziamo a crescere, al 66’ Fambrini prende palla a centrocampo e si invola verso la porta avversaria, ne salta una, ne salta due, ne salta tre, viene atterrata ma riesce comunque a servire il passaggio per Migliorini che raccoglie si porta la palla sul sinistro e dal limite dell’aria lascia partire un tiro che si infila sul palo lontano dietro le spalle del portiere: 1a0, la panchina esplode, in campo corriamo ad abbracciarci e sugli spalti si sentono le grida di gioia. Non era finita e noi lo sapevamo, erano quelli i minuti più duri. Palla al centro e il Fiammamonza parte più forte che mai, attaccano da tutte le parti, noi ci compattiamo, non vogliamo perdere, da calcio d’angolo Nencioni stacca di testa ma Frizza è attenta e nega la gioia del goal salvando il pallone sulla linea, brivido, ma ancora non è finita. Il cronometro corre ma a noi sembra che il tempo non passi mai, loro ci credono ma noi di più e non molliamo. 3 minuti di recupero, “manca poco” ci urlavamo, per darci la forza di resistere agli ultimi assedi delle rosso bianche. I tre fischi dell’arbitro, finita, abbiamo vinto, il Siena femminile aveva conquistato la serie A. Potete immaginare la gioia di ognuna di noi, piangevamo tutte, per rabbia, per gioia, per quello che avevamo fatto, aveva vinto il gruppo, tra le lacrime si sentiva un solo coro, quello del Siena, il nostro inno urlato con tutta la voce che c’era rimasta.
A questo punto penserete, come può non esserci un lieto fine a questo racconto? e invece, nessun lieto fine, dopo la vittoria dei play off, la società fallì, nessuna promozione, le ragazze di quel bellissimo gruppo si sparpagliarono in altre squadre, libere dal vincolo sportivo in quanto la società era fallita. Qualcuno potrà pensare come mai raccontare questa storia? ne avrei potute raccontare altre, con un finale decisamente migliore, ma ho scelto di raccontare questa perchè nonostante tutto, nonostante la rabbia, la delusione, quell’annata rappresenta ciò che amo di questo sport, rappresenta le emozioni che può regalare questo sport, dimostra quanto la forza di un gruppo può fare la differenza, racconta di quanto ognuna di noi era disposta a sacrificare qualcosa per il bene comune, racconta quanto la fiducia l’una verso l’altra in un team sia fondamentale e sopratutto lascia dei ricordi indelebili e credetemi che se chiedete ad ognuna di quelle giocatrici che facevano parte della rosa del Siena di raccontarvi del 10 giugno 2012, vi risponderà che quell’annata è il motivo per cui ama il calcio e che quell’emozione è insuperabile e che se pensa a quei giorni gli viene in mente 18 ragazze che si tenevano per mano e cantavano quel meraviglioso inno dedicato alla loro amata città.
Serena Ceci
Credit Photo: Florentia Calcio Femminile