La squadra di calcio femminile degli Stati Uniti esordisce alle Olimpiadi di Rio battendo con un comodo 2 a 0 la Nuova Zelanda. La diabolica Zika però vince per ko il primo round della sua personalissima guerra contro Hope Solo, portiere della rappresentativa statunitense, sbeffeggiata con bordate di fischi e cori ad hoc (“Zika! Zika! Zika!”) per novanta minuti dai (non moltissimi) spettatori sulle tribune dello stadio di Belo Horizonte ogni volta che aveva il pallone tra le mani.
La sua colpa? Una serie di tweet ironici lanciati in rete alla vigilia della partenza per i Giochi – hashtag #Zikaproof e #Deptof defence – in cui ha mostrato al mondo l’arsenale messo in valigia per prevenire i morsi dell’aedes aegypti: un cappuccio zanzariera a metà tra esplorazione tropicale e look Ku-Klux-Klan calato in testa mentre brandisce un barilotto di repellente anti-zanzare (“Portatevi il vostro! Io non lo divido” il messaggio allegato) e una lenzuolata di prodotti insetticidi di ogni tipo – dagli zampironi alle pomate, dagli stick post-puntura a misteriosi aggeggi metallici – schierati con ordine militare sul suo letto prima di essere impacchettati in valigia per Rio. Foto accompagnata dall’invito a chi è a corto di contraerea anti-Zika ad andarla a trovare al Villaggio olimpico.
I tifosi brasiliani non l’hanno presa bene. L’anofele è un pericolo e lo sanno tutti. Ma in agosto a Rio, dicono, fa troppo freddo e non c’è se non in sparute pattuglie. Il danno però è fatto: la bolla mediatica gonfiata senza troppo scientificità sul suo pericolo – sostengono sotto il Corcovado – è stata la causa della rinuncia immotivata ai giochi di molti atleti. La prova? In questi giorni i casi di infezione di cui si parla sono a Miami, quando si dice l’ironia della sorte, tra i marines di stanza negli Usa e a Cuba.