Rita Guarino, pallone e paracadute, le regole di una vita. Nata piemontese da sangue siciliano, contrasto ed equilibrio. Il tono è pacato, la voce bassa, non siamo a bordo campo ma al Corriere dello Sport. Si definisce coach – “è il termine corretto” – e la fa ridere quando le sue ragazze la chiamano mister o semplicemente mi’. Le sue ragazze sono le azzurre della Nazionale Under 17 e sono appena tornate dalla fase finale dell’Europeo di categoria in Bielorussia, uscite presto, ma a testa alta, da un girone infernale con Repubblica Ceca e soprattutto Germania e Spagna.
LA SALITA E POI… Guarino ha preso in consegna le azzurrine a settembre. “E’ stato un percorso in salita. Ho trovato buone individualità, ma tanta paura. Abbiamo perso subito con la Danimarca, poteva essere un brutto colpo invece è stato il momento più importante: ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo fissato gli obiettivi. La fase Elite l’abbiamo superata alla grande, prendendo fiducia e crescendo. Il pareggio con la Germania lo dimostra, io credo che il gap con l’Europa sia colmabile in tempi brevi. Il merito è anche delle società che lavorano meglio. Noi grazie agli osservatori sparsi sul territorio peschiamo ragazze dalla C alla A”.
IL CALCIO. Il pallone e il paracadute. Uno ha bisogno dell’altro per essere vissuto appieno senza ansia del domani. “I miei genitori mi hanno insegnato ad avere un paracadute, un’alternativa perché nella vita non si può mai sapere, ma hanno sempre sostenuto le mie scelte. Tutto è iniziato dopo un gol in Nazionale, al Mondiale del 1991 in Cina. Debuttavo per un infortunio di Antonella Carta. Avevo vent’anni, sono entrata e ho segnato, è stata un’emozione grandissima. Lì è davvero iniziata la mia carriera di calciatrice . Mi sono messa a fare sul serio. Da quel gol alla Norvegia anche i miei hanno capito che non si scherzava più”.
IL PARACADUTE. Il suo paracadute è una laurea in psicologia e non solo, perché Rita ha fondato il FootbalLab, un centro di formazione tecnica. “Insieme con Patrizio Sala abbiamo aperto la prima scuola calcio individuale in Italia, dove lavoriamo non solo per il miglioramento tecnico, ma seguiamo anche bambini con problematiche di esclusioni sociali o con handicap. Lavoro tanto dal punto di vista psicologico. Raccogliamo i delusi e cerchiamo di fortificarli, per ritrovare motivazioni e fiducia. Diventare psicologa mi ha aperto la mente. Alle mie ragazze parlo di sogni e non di illusioni, devono essere convinte di poter andare avanti, ma imparando a gestire gli aspetti concreti. Sento che a laurea in psicologia mi è utile per stabilire con loro un rapporto empatico”.
Certo, queste giovani calciatrici devono affrontare oltre allo stress della competizione quello della scuola. Non è uno scherzo. “Conciliare non è semplice, ma la scuola è la cosa più importante, lo ripetiamo sempre. La Federazione ha messo a disposizione due tutor, durante le qualificazioni in raduni e ritiri, per seguire le ragazze nei loro percorsi scolastici”.
Guarino è quel calcio femminile che non c’è più. Quello che si riconosceva, quello che cerca eredi e nuovi personaggi per rilanciarsi: “Le mie “bimbe” non sanno nulla di me ed è meglio così. Non devono guardarmi come giocatrice, ma come selezionatrice. Sanno bene che il calcio femminile non è professionistico né seguito, però sognano che le cose cambieranno. Ed è giusto avere un pensiero costruttivo, perché le cose effettivamente stanno cambiando. L’obiettivo è conquistare visibilità. Quello che sta succedendo oggi lo predicavamo noi venticinque anni fa. Ma presto il calcio maschile si innamorerà del femminile. E le società professionistiche lotteranno per accaparrarsi le donne”.
DAI PATTINI AL PALLONE. Il pallone rotola e finisce per sbatterti sempre sui piedi, e ti chiede conto. Rita fino a quattordici anni ballava sui pattini. “Pattinaggio artistico, con tutù e paillette. Ho resistito perché mi piace competere, ma prima di ogni gara non mancava mai la partita di calcio e in pista scendevo sporca di fango. Mia madre era disperata”.
Il fratello maggiore non giocava a pallone ma la “istigava” a farlo. Rita tirava duro sulla porta del garage, alle due del pomeriggio per la gioia dei vicini. A quel tempo nemmeno pensava che esistesse una Nazionale o un campionato femminile. Poi è arrivata alla Juventus, tanto per cominciare. “Ho avuto la fortuna di trovare tante amiche e dalla C siamo arrivate fino in serie A. Ricordo la prima partita che ho giocato, mi hanno messo davanti, in attacco, e il mister continuava a urlarmi “sei andata undici volte in fuorigioco”, allora mi fermo gli chiedo: “Ma cos’è ‘sto fuorigioco?”. Ecco ero messa così. Però l’ho capito così bene cos’è il fuorigioco ed è diventato la mia arma, io sempre sul filo”.
Di campi ne ha girati tanti e ha vinto molto. Ma lo scudetto con la Lazio è stato la vittoria più emozionante della carriera. “Bellissimo – le brillano ancora gli occhi – spareggio sul neutro di Pisa, supplementari e rigori e quando è così devi solo crederci fino in fondo”.
Viaggi di andata e ritorno. Reggio Emilia, Sassari, Verona, Roma e sempre ritorno a casa, a Torino, la sua città, dive vive e ha battezzato il suo primo FootbalLab, il paracadute. Simpatizza per la Juventus: “Non sono proprio una tifosa, perché se la Juve non gioca, tifo per il Toro, insomma le squadre della mia città”.
I MITI. Condivide con molti il mito di Roberto Baggio: “Grande persona, equilibrato e massima espressione del calcio”. Con i miti femminili invece ci ha giocato. “Ho avuto la grandissima fortuna di crescere con Morace, D’Astolfo, Marsiletti, Ferraguzzi, solo per citarne alcune. Tutte mi hanno dato qualcosa. Abbiamo fatto i Mondiali del ’91, fino ai quarti, siamo state vicecampioni d’Europa nel ’93 e ’97. Nel 1999 ultima presenza ai Mondiali, poi l’Italia è scomparsa. Dobbiamo tornare a essere quello che eravamo, protagoniste. Le squadre europee sono più forti perché hanno il vantaggio della scelta su numeri altissimi di tesserate. La Germania è una superpotenza e ha 250 mila iscritte, noi siamo fermi a ventiduemila. E se a livello giovanile, continuando a lavorare così, il gap possiamo annullarlo in tempi brevi, per la Nazionale maggiore i tempi sono ancora lunghi. Però c’è entusiasmo e attenzione intorno al movimento, è questo è importante. Non siamo più sole”.
A 33 anni la vita le impone una sterzata. Si rompe il ginocchio: aggiustare o lasciare? Rita lascia: “Non è stato un caso. Era un periodo in cui iniziavo seriamente a preoccuparmi del futuro. Eppure ero al top della forma e della carriera. Mi sono rotta il ginocchio e ho deciso di smettere. Sarà stato un segno. Non è stata una scelta difficile. E l’adrenalina da partita oggi l’ho ritrovata”.
LE DONNE NON SONO UOMINI. Difende la diversità, purché non sia discriminante. “La discriminazione esiste perché in ogni campo la donna vale meno dell’uomo. Ma noi non vogliamo essere come un uomo, vogliamo solo fare lo stesso sport a modo nostro. La bellezza è nel gesto atletico non nella velocità e nella forza. Bisogna superare il continuo paragone con la maschile, perché questo è limite. Anche il calcio giovanile, seppur maschile, è diverso ma non per questo non bello da vedere. Io mi sento fortunata di appartenere alla femminile, perché c’è passione e questa è il motore della vita”.
Ecco il motore di Rita Gaurino, la passione che fa attraversare la vita sapendo di non tralasciare sogni e obiettivi. Riuscendo a essere in ogni cosa che fa, senza ripieghi ma con i paracadute da lei stessa cuciti. “Non mi pongo limiti. Allenerei anche gli uomini. Ma adesso mi piace quello che faccio”.
IN VETTA. Ama la lettura e non ha un genere preferito, segue tanti sport, tra cui il tennis, lo sci, l’escursionismo. La vacanza preferita è quella con lo zaino in spalla e a piedi: ancora a 44 anni intende il viaggio come avventura. E se dice che i sogni non sono illusioni è perché crede nella potenza della determinazione a inseguirli questi sogni. Perché Rita sa sognare. E al mare preferisce la montagna, al giro di boa il raggiungimento della vetta, per questo il suo viaggio da sogno è salire sul Monte Bianco e lo farà. “Mi piace arrivare in vetta dopo una faticata, sedermi e guardare il mondo di lassù”.
Persona straordinaria, grandissima passione per le giovani calciatrici, un grosso valore aggiunto per il calcio femminile italiano. Un esempio di signorilita`in campo. Brava Rita!
Persona straordinaria, grandissima passione per le giovani calciatrici, un grosso valore aggiunto per il calcio femminile italiano. Un esempio di signorilita`in campo. Brava Rita!
Grandissima personalita` un valore aggiunto per il calcio italiano, non solo femminile, un esempio favoloso di passione per i giovani ed un esempio da seguire per la nostra federazione fatta di primedonne che aime` per noi non sono donne.
Brava Rita!