La mancata qualificazione del calcio femminile come professionista da parte del CONI è un problema giuridico purtroppo ancora attuale. In Italia uno sport può essere considerato professionistico in base all’art.2 della legge 23 marzo del 1981, n.91: “Ai fini dell’applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.
Attualmente gli sport considerati professionistici dal CONI sono solo il calcio maschile fino alla Lega Pro, il golf, il basket e il ciclismo. A partire dal 2011 il motociclismo non è più considerato sport professionistico e dal 2013 anche la box ha perso tale status giuridico.
Per fare un esempio, Federica Pellegrini, Flavia Pennetta e Valentino Rossi[1] non sono attualmente considerati sportivi professionisti per il diritto sportivo italiano.
Detto questo, è opportuno analizzare il problema da un altro punto di vista e in connessione con il calcio, dato che sull’inattività giuridica del CONI e della FIGC si è già abbondantemente scritto.
La FIFA è l’associazione privata di diritto svizzero che regola il calcio a livello internazionale; come possa un’associazione di diritto privato (come qualunque altra associazione di quartiere delle città italiane) gestire il calcio a livello globale, è un mistero.
Tuttavia la FIFA esiste e le sue norme che a volte non sono giuridicamente le migliori, devono essere applicate; la FIFA infatti agisce come l’Unione Europea che emette regolamenti e direttive, mentre la federazione calcistica adotta circolari.
Nello statuto della FIFA viene stabilito l’obbligo[2] per le federazioni calcistiche nazionali, come la FIGC, di applicare le direttive della FIFA e ratificare i propri statuti in relazione a quanto deciso in Svizzera. Le norme promulgate dalla FIFA quindi diventano obbligatorie per gli Stati membri come succede con l’Unione Europea e gli Stati comunitari.
Per quanto riguarda lo status di calciatore professionista, la FIFA stabilisce semplicemente che: “Un professionista è un giocatore che ha un contratto scritto con un club ed è pagato più per la sua attività calcistica che per le spese effettivamente sostenute. Tutti gli altri giocatori sono considerati dilettanti[3]”. Questo articolo ci conduce a due conseguenze: la prima è che se l’ente internazionale che gestisce il calcio considera come abbiamo visto lo status di calciatore professionista, allora anche la FIGC e il CONI dovrebbero rivedere le proprie norme. La seconda è che se una giocatrice guadagna una cifra superiore alle spese di trasporto che effettua per recarsi al campo di allenamento e allo stadio il fine settimana per le partite, allora la giocatrice dovrebbe essere considerata professionista in base alle norme FIFA.
Se poi la giocatrice ha un contratto scritto (contratto di lavoro o contratto di prestazione sportiva, non si specifica quale) e la società calcistica può contare su una struttura di fatto, professionistica, allora le giocatrici dovrebbero perdere lo status di giocatrici dilettanti.
Un cambiamento giuridico e necessario perché l’Italia è il paese in cui ancora domina la vecchia scuola e a dimostrazione di ciò, lo sport professionistico viene regolato ancora da una legge del 1981: forse lo sport, e il calcio, non sono cambiati da allora?
Sfortunatamente per gli atleti, amanti e colleghi di altri sport, il calcio vive una situazione giuridica particolare e se vogliamo migliore, poiché in altri sport, come la pallavolo o il tennis, gli sportivi non sono considerati professionisti per entrambi i sessi, nel calcio invece godono dello status di professionista soltanto gli uomini.
E proprio per questa particolare situazione del calcio, la riflessione finale è la seguente: se la norma FIFA relativa al professionismo viene applicata ai giocatori in tutto il mondo, perché non dovrebbe essere applicata anche alle giocatrici in Italia?
[1] A Valentino Rossi si applica il diritto sportivo giapponese perché lavoratore dipendente della Yamaha.
[2] Art. 14 FIFA Statutes 2016 edition: “Member associations have the following obligations: a) to comply fully with the Statutes, regulations, directives and decisions of FIFA bodies at any time as well as the decisions of the Court of Arbitration for Sport (CAS) passed on appeal on the basis of art. 57 par. 1 of the FIFA Statutes; f) to ratify statutes that are in accordance with the requirements of the FIFA Standard Statutes”.
[3] Art. 2 FIFA RSTP: “A professional is a player who has a written contract with a club and is paid more for his footballing activity than the expenses he effectively incurs. All other players are considered to be amateurs”.