La nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti è famosa per la costanza con cui cerca di promuovere consapevolezza riguardo temi legati al mondo delle donne e dei loro diritti. Nel libro All Things Being Equal: The Genesis, Costs and Aftermath of the USWNT’s Equal Pay Battle, pubblicato proprio un mese fa negli Stati Uniti, gli autori Rich Nichols e Sam Yip hanno richiesto l’intervento di Hope Solo, una delle giocatrici statunitensi più conosciute a livello mondiale e che vive e respira ogni giorno il mondo del calcio; il tema principale del testo è proprio l’uguaglianza nei salari tra uomini e donne in questo sport.

Come racconta l’autore, nel 2015, neanche una decina di anni fa e proprio dopo la vittoria del mondiale da parte della nazionale statunitense, la disuguaglianza nei salari era un tema che toccava profondamente tutte le ragazze. In particolare, si ricorda uno slogan che ripetevano a squarciagola: “Noi non giochiamo, Rich. Che si fottano, noi non giochiamo. Devi dirgli che noi non giochiamo, e basta”, uno slogan che lasciava trasparire tutto il disappunto legato al diritto delle donne alla parità nei salari, che non c’era, così come l’impossibilità di decidere se giocare o meno le loro partite. Alcuni giorni prima, inoltre, era stato anche negato loro il diritto a un weekend di riposo, ed erano dunque costrette a giocare le loro partite di National Women’s Soccer League dopo un mese lontane da casa, dai loro affetti e sempre costrette a ritmi pressanti di gioco.

Il rifiuto non ha fermato le ragazze, che si sono invece galvanizzate. Hanno diffuso, in lungo e in largo per gli Stati Uniti, il messaggio di non andare allo stadio, di sabotare il campionato, di fermare gli incassi della Lega statunitense per protestare. L’ormai ex-calciatrice Christie Rampone, all’epoca capitano e tra le più influenti della formazione, guidava le ragazze e i tifosi, sottolineando quanto i loro sentimenti e il loro disappunto non venissero presi in considerazione, che non importava come stessero, perché sarebbero state comunque costrette a giocare. Dalla sua parte c’era anche l’altro capitano, Abby Wambach. Secondo loro, il presidente della Federazione statunitense Sunil Gulati non aveva voluto neanche ascoltare le loro ragioni, e loro avrebbero dovuto seguire le direttive e scendere in campo senza se e senza ma.

Per provare a scendere a un compromesso, Gulati propose di telefonare l’intera nazionale per discutere, ma Rampone e le sue compagne non avevano alcun interesse a parlare telefonicamente con lui, ben consce del fatto che era lui ad avere il coltello dalla parte del manico e il potere decisionale. Nichols le convinse però ad ascoltare le ragioni del presidente offrendosi da tramite, e chiunque avrebbe dovuto rivolgersi a lui, compreso lo stesso presidente, per parlare con le ragazze; Nichols si offrì, di fatto, di fare da testimone. Chiamò a intervenire Lisa Levine, consigliere generale del calcio statunitense. Sunil avrebbe dovuto parlare con Nichols prima di proporre il calendario della settimana dei festeggiamenti per la vittoria del mondiale; Sunil non partecipò mai alle numerosi riunioni a cui venne invitato, e vi mandò infatti Dan Flynn, il CEO del calcio statunitense. Flynn lesse quanto scelto dal presidente e propose il calendario tra il mercoledì e il sabato, ma ci sarebbe comunque dovuto essere il consenso da parte delle ragazze, le dirette interessate. La squadra sarebbe volata da Chicago a Los Angeles, poi a New York e infine ognuna di loro si sarebbe ricompattata con la sua squadra di campionato. Flynn rimase di sasso nel sentire le parole di Nichols: che l’avrebbe ricontattato dopo essersi consultato con le ragazze, coloro che avrebbero dovuto partecipare attivamente sia ai festeggiamenti intensivi sia alle partite.

Arrivati i giorni dei festeggiamenti, le ragazze accettarono di prendervi parte e salirono sul loro bus senza ammettere nessuno dei membri ufficiali della società US Soccer. Sentendole al telefono, Nichols si accorse che erano tutte entusiaste, e fu allora che sentì lo slogan precedentemente riportato. Christie Rampone, del tutto trascinata dai festeggiamenti, ha poi scambiato due parole con lui: “Penso tu riesca a sentirci. La squadra ha votato, con 24 voti a 0, per non giocare in campionato questo fine settimana”, e le rispose che la loro scelta era stata coraggiosa, ammirevole. La vittoria del mondiale aveva dato loro una sicurezza capace di portarle a ribellarsi contro le ingiustizie. Pur sembrando poco, un weekend di riposo lontano dai campi da calcio significava molto per loro, se non tutto.

Nichols abbozzò poi una lettera da inviare alla società per comunicare la scelta delle ragazze e la inoltrò a tutte loro perché il testo fosse conosciuto e approvato dall’intera formazione: tutte e 24 approvarono, e l’autore inviò la lettera alla società. Levine lo ricontattò subito chiedendogli spiegazioni in merito alla mail, e lo stesso accadde da parte di Flynn. Nichols giustificò quanto scritto dicendo che, dopo un mese fitto di partite delle ragazze in Canada, nessuna di loro aveva intenzione di giocare le partite in campionato stabilite per quel weekend. Sia Levine sia Flynn fecero leva sul contratto delle ragazze, che stabiliva che avrebbero dovuto giocare tutte le partite di campionato. Nichols si limitò a ribattere che non stavano cercando di arrivare alle vie legali, e che la loro era una decisione frutto di scelte di business.

A quel punto, né Flynn né Levine ebbero la prontezza di ribadire che era tutto scritto nel contratto. Le calciatrici non avevano, infatti, firmato nessun contrato per giocare per la nazionale, così come non avevano contratti per giocare in campionato. Quindi, legalmente, non avevano nessun obbligo di giocare né per la loro nazionale né in campionato. Con questa decisione coraggiosa, le ragazze hanno abbattuto un mattone di un muro eretto dalla federazione che non faceva altro che i propri interessi.

Ilaria Cocino
Nata a Torino nel 1998, si appassiona al calcio e all'atmosfera magica degli stadi fin da ragazzina. Laureata in Traduzione presso l'Università degli Studi di Torino, attualmente è traduttrice freelance dall'inglese e dallo spagnolo e si occupa anche di editoria. Da sempre affascinata dal mondo del giornalismo sportivo, prova a coniugare la sua passione per il calcio femminile con quella per le lingue per immergersi anche in quello internazionale.