La nostra Nazionale non ha ben figurato ai Mondiali dell’ Australia e Nuova Zelanda, e la nostra ex capitana Sara Gama, raggiunta in una lunga intervista concessa al quotidiano “La Stampa” confessa tutta la sua amarezza per non aver vissuta questa avventura.
Un “Capitano” sul divano, senza troppi preavvisi, come l’ha vissuta?
“E’ stato difficile non esserci, ammette Sara, mi sono concentrata sul calcio giocato”.
Sara che non ha mai commentato la sua esclusione, perché?
“Non davo per scontato nulla, ero a disposizione, come le mie compagne. Stavo facendo bene fisicamente e lo avevo dimostrato. Avevo giocato con continuità nell’ultimo periodo, scoprirmi fuori mi ha amareggiata”.
Si è parlato di Gama come simbolo, era questa la parte che pensava di avere a questo Mondiale?
“Resto convinta che la mia esperienza, 130 presenze in nazionale, potesse essere di supporto sotto ogni punto di vista. Mi sento calciatrice quindi utile in campo, in panchina e nello spogliatoio”.
Ha avuto un confronto con la nostra ex. Commissaria Tecnica Bertolini?
“No, ammette Sara Gama. C’era solo una decisione da accettare e l’ho fatto. Ho preferito non reagire per evitare strumentalizzazioni che potessero nuocere alle azzurre”.
A questo Mondiale ed in particolare alla Nazionale in Nuova Zelanda è mancato il carisma?
“Non possiamo ridurre i problemi a quello. Si è percepita una carenza di leadership, ma era uno dei fattori che hanno portato alla dolorosa uscita”.
Vedere l’ Italia uscire ai gironi in un Mondiale dove il livello generale si è alzato oppure è un’occasione persa?
“Ogni risultato buono genera entusiasmo e fa partire un circolo virtuoso quindi si: è un’ occasione persa al movimento degli elementi. Per andare avanti o servono progettualità. Idee precise che consentano di stare al passo e persone competenti”.
La nostra Federazione non era in Nuova Zelanda ed è sembrata latitante in tutto il programma, compreso le tempistiche sul cambio tecnico, cosa ne pensa?
“Quando non si ottengono i risultati attesi si cerca la causa principale. L’analisi del Presidente Gravina è condivisibile: sono mancati più elementi dentro e fuori dal campo”.
Pertanto è un’ ammissione di colpa?
“Mi sembra la volontà di capire le responsabilità di ognuno ed è inutile stare inchiodati li. Bisogna andare avanti”.
Si aspettava il messaggio sfogo delle sue compagne?
“Conosco bene le mie compagne. Comprendo l’amarezza di dover affrontare una delusione sportiva e non solo e per questo non le giudico. Parlare a caldo non è mai una soluzione, ma conosco le ragioni profonde dello sfogo”.
L’ha sorpresa vedere realtà come la Colombia, nuove nel panorama e già così audaci?
“Ci ho rivisto le energie che hanno caratterizzato il nostro Mondiale di quattro anni fa. Il calcio cresce in ogni dove, forse oltre le aspettative”.
Quella frase pioniera per l’Italia è chiusa, che cosa serve oggi?
“E’ la seconda competizione che non va secondo le aspettative. Avremmo già dovuto essere alla crescita e in realtà lo siamo, solo che non abbiamo espresso il nostro potenziale. Bisogna lavorare: nello sport quello che hai fatto prima non basta mai!”.
Nella rosa c’erano generazioni diverse. Dragoni, sedici anni di grande classe, tra le titolari, è mancato un ponte?
“E’ un gruppo variegato, una ricchezza se sfruttata con gradualità. Alle giovani servono esempi, nella vita ci si muove per imitazione e nel calcio di più. L’esperienza non può essere svilita”.
Il professionismo soffrirà per questa bastonata?
“Non sarebbe giusto. Non basiamoci sull’emotività, i nostri club fanno bene, anche in Europa ed il professionismo serve per mettersi in pari. Non torniamo indietro ma aumentiamo la visibilità per rendere il professionismo sostenibile”.
Come si fa?
“Con infrastrutture adeguate e questo è un tema dolente pure al maschile, con professionalità elevate”.
In conclusione che figura vorrebbe sulla panchina dell’Italia?
“Uno o una brava. Il genere non mi interessa, uomini e donne hanno stile diversi, ma conta che sappiano parlare di calcio e quella è una lingua comune: la differenza sta tra chi la conosce e chi no!”.