Antonio Cabrini, il nostro Campione del mondo del calcio italiano sopranominato “Il bell’Antonio”, negli ultimi anni è tornato a parlare di quello che tempo fa era un tabù in ambito sportivo, ed in particolare nel panorama del calcio che conta e di altri sport di squadra.
L’ex difensore, che ha fatto strage di cuore indossando la maglia della Juventus e non solo, ha affrontato insieme a Vladimir Luxuria, prendendo parte al Lovers Film Festival di Torino, il tema dell’omosessualità e del “coming out”. I gay nel calcio sono ancora motivo di discussioni cocenti trattandosi ancora oggi di un argomento scottante, perché su di esso si concentrano preconcetti, omofobia e discriminazioni.
Un punto di vista affrontato dall’attivista della comunità Lgbt che ha domandato all’ex calciatore, che da anni svolge l’attività di allenatore: “Perché ancora oggi è difficile per un calciatore professionista in attività fare coming out?”. Antonio Cabrini, facendo riferimento alla propria esperienza ha risposto: “L’omosessualità nel mondo del calcio maschile è ancora un tabù. L’ignoranza dei tifosi, delle persone che sono sempre pronte a cercare qualcosa per denigrare un calciatore. Non si è ancora recepito questo messaggio, i tifosi non riescono ancora ad arrivare ad un messaggio inclusivo che in altri sport è già arrivato”.
Dalle parole del campione ed alle sue riflessioni riportate da Gay.it , qui l’ex calciatore aveva già espresso un parere sull’omosessualità nel calcio femminile, dove il coming out è più frequente e privo di preconcetti.
Una constatazione che Cabrini ha avuto modo di maturare nel corso delle sue avventure in panchina come CT della nazionale italiana femminile dal 2012 al 2017. “L’omosessualità nel mondo del calcio femminile è più accettata. In quello maschile, essendo considerato uno sport da maschi, non è contemplata. Fare coming out per un calciatore comporterebbe grandi problematiche, non personali, ma di rapporti con il pubblico e gli sponsor. Ci vorrà ancora qualche anno prima di superare il problema, che colpisce tantissimi calciatori”.
In quella stessa intervista per il magazine, l’ex terzino e campione del mondo con la nazionale nel 1982 ha poi ammesso: “Ho avuto dei compagni di squadra che erano omosessuali. L’ho capito, non me l’avevano detto. All’interno dello spogliatoio non c’erano problemi. Erano i tifosi, le persone fuori, il problema. C’è anche una questione di sponsor, ma è il rapporto con i tifosi il problema principale”.
Antonio Cabrini ha sintetizzato qual è lo scenario calcistico attuale, che non ha fatto molti passi in avanti rispetto a quando lui indossava ancora le scarpe con i tacchetti sul campo, chissà se queste considerazioni potranno essere di aiuto alla libera espressione di ogni calciatore o calciatrice nel nostro paese?
Secondo me il primo passo da fare per affrontare e relativizzare il problema è un coming out, possibilmente di massa, nel calcio maschile. Magari gli omosessuali potrebbero unirsi e rilasciare una dichiarazione di appartenenza, indicando solo il numero, senza identità. Per iniziare.
In questo modo i fans dovrebbero accettare che fra i loro tanto virili beniamini una certa percentuale è gay. Successivamente si dovrebbero quindi fare passi più concreti e trasparenti, facendo entrare in gioco il coraggio, la preparazione e la volontà di ciascuno di fare coming out.
Il calcio professionistico femminile aiuterà sicuramente in questo processo di crescita civile.