Ci siamo! Finalmente è ufficiale! Dalla prossima stagione sportiva le calciatrici italiane saranno professioniste. Il provvedimento è stato ufficializzato ieri nel primo pomeriggio tramite una note della FIGC da parte del presidente federale Gabriele Gravina. Come si è potuto evincere dai social, tutte le calciatrice, dalla Serie A alla Serie C passando per le formazioni giovanili, hanno esultato ripostando la notizia sui loro profili. Si tratta di un passaggio storico che permette all’Italia di iniziare ad adeguarsi alle normative europee. Diversi paesi dell’Unione sono nettamente più avanti rispetto a noi, ma attenzione: non tutti hanno ancora approvato una riforma come la nostra. Fino ad ora il professionismo era basato su una forma ibrida, dove i club con alle spalle il marchio societario agivano già con condizioni migliori rispetto a chi invece ha fatto la gavetta ed è riuscito poi a raggiungere i massimi livelli investendo e lavorando in maniera corretta. Molti di questi imprenditori però hanno già iniziato a risentire dei costi maggiori dovuti ad una crescita vertiginosa del livello del nostro campionato. Alcuni, vedi Tommaso Becagli, hanno optato per la cessione del titolo sportivo ad un marchio più grande che consentisse la prosecuzione del torneo. Ma c’è ancora chi resiste, come il patron del Napoli Raffaele Carlino. Ma come si adegueranno questi personaggi ora che, con l’avvento del professionismo, i costi diverranno pressoché insostenibili?
E qui già sta la prima falla del provvedimento. Invece di consentire agli imprenditori “minori” di stringere partnership con società che ancora non si sentono pronte ad entrare nel mondo femminile, la Federazione ha optato per applicare un sistema forzato che non ha certo lo scopo di tendere la mano. Tra un anno infatti, i club che non si muniranno per lo meno di un settore giovanile femminile, saranno sanzionati economicamente. Ma non si può certo obbligare chi non vuole entrare in questo ramo sportivo a doverci entrare per forza. Chi lo fa deve farlo perché lo ritiene giusto dal punto di vista etico. Puntare una pistola alla testa di un club di calcio non è certo il metodo migliore per invogliare a compiere un investimento che, ricordiamo, comporta entrate economiche pari a zero. E questo è solo il primo punto. Ma è già più che sufficiente per considerare il fatto che alcune società, che già si sono salvate sul campo o che saliranno dalla serie cadetta, non potranno reggere i costi del professionismo con il rischio di uno scioglimento delle stesse ed un ripescaggio tra le retrocesse. Sarebbe un cortocircuito non da poco conto.
Parliamo poi dei contratti delle calciatrici. Prima ancora di dare l’annuncio ufficiale forse sarebbe stato più opportuno accordarsi con calciatrici e società per stabilire la bozza di contratto che sarà sottoposta alle ragazze quando decideranno di firmare con una squadra. Di colloqui con l’AIC, vice presieduta tra l’altro dalla juventina Sara Gama, non si hanno notizie. Così come non si trovano riscontri di incontri con i presidenti e gli AD delle società per discutere sui eventuali premi, bonus, contributi e ingaggio base. La FIGC ha pensato bene di lasciare questo scoglio, che prevedrà sicuramente aspri scontri tra le parti, come ultimo step prima del raggiungimento dell’obiettivo. Non sarebbe stato meglio aspettare di avere un accordo tra le parti prima di dare l’annuncio ufficiale in questo modo?
Dulcis in fundo, riallacciandoci alla questione economica dei club “minori”, c’è un quesito che sorge spontaneo: che ne è stato dei fondi messi a disposizione dal Governo Conte II nel 2020 che sarebbero serviti per attutire l’impatto per questa transizione? Noi stessi di CFI riportammo sulle nostre pagine l’annuncio dell’allora Ministro dello sport Vincenzo Spadafora. Allo stesso tempo ricordiamo come il Governo Draghi, a pochi giorni dal suo insediamento, dichiarò del fatto che sul professionismo si sarebbe andati avanti. Certo poi è scoppiato il conflitto tra Russia ed Ucraina e la situazione economica è peggiorata, ma i soldi che erano stati promessi dove sono finiti? L’ex Primo Ministro Giuseppe Conte si spese in prima persona sul fatto che gli sport al femminile, non solo il calcio ma in generale, avrebbero dovuto avviare un percorso per passare al professionismo. Ma la sensazione che emerge è che la FIGC abbia compiuto per l’ennesima volta il passo più lungo della gamba. Ci aspetta un estate difficile con molti scossoni e terremoti all’orizzonte. Una cosa è sicura, a partire dal prossimo settembre la Serie A Femminile ripartirà con un nuovo format e con un nuovo status. Ma siamo davvero sicuri che ci piacerà?