La parola “fortuna” ricorre spesso nella chiacchierata in esclusiva sulla Repubblica per Cecilia Salvai, difensore della Juventus Women. Eppure negli ultimi anni per ben due volte la calciatrice nata a Pinerolo ha dovuto alzare bandiera bianca per un infortunio al ginocchio: la prima volta ha saltato il Mondiale del 2019, la seconda le sta togliendo il diritto di contribuire alla cavalcata Champions delle J Women e di partecipare agli Europei di luglio. La parola fortuna, evidentemente, si riferisce al carattere, che non le fa perdere il sorriso neanche quando sarebbe più la soluzione più semplice.
Cecilia Salvai, come è nato l’amore per il calcio?
«Ho iniziato seguendo le orme di mio cugino. Da piccola giocavo con lui, andavo a vederlo giocare e l’allenatore mi ha chiesto di entrare in squadra».
Sta vivendo il suo secondo infortunio al ginocchio. Qual è il momento più difficile?
«I primi mesi passano in fretta, dal terzo comincia a essere pesante, si sommano la fatica fisica e mentale».
Ci pensa agli Europei di luglio?
«Valutiamo mese per mese. È più no che sì, sarebbe una cosa molto “tirata”. Se invece volesse dire andarci per fare parte della squadra, allora sarebbe diverso».
La vita l’ha messa spesso alla prova. Come fa a non perdere mai il sorriso?
«Non lo so, ci fosse una spiegazione farebbero tutti così (sorride, ndr). Sorrido ma il dispiacere c’è: affrontarla così aiuta a soffrire meno».
La prima prova è arrivata a 4 anni, quando le diagnosticarono un linfoma. È in quella occasione che ha imparato a lottare?
«Penso di sì, anche se ricordo ben poco. Ho dei flash, sono stata fortunata perché è durata poco, sei mesi di cura e un anno di controlli. Vedendo altre persone come stanno, mi ritengo molto fortunata: è stato preso in tempo. Penso che ti segni per quanto uno sia incosciente vista l’età».
Il 29 dicembre è stata operata per la seconda volta. Come sarebbe andata dieci anni fa?
«Male. Parlando con le calciatrici del tempo ho la conferma che era diverso: quello che ho a disposizione alla Juventus era impensabile fino a qualche anno fa».
Nel frattempo ha rinnovato il contratto: in attesa del professionismo, sono le società il vostro welfare?
«In un certo senso sì. Sono ancora più riconoscente per quanto ci sono vicini in società, ma era inevitabile arrivare al professionismo».
Qual è l’aspetto che è maggiormente cambiato negli ultimi anni?
«La mentalità. Prima per tutte noi era “giocare”, non era la prima fonte di sostentamento. Le generazioni future vedranno gli sforzi di chi le ha precedute. Siamo passate dal niente al tutto e ce lo siamo anche meritato».
Che impatto potrà avere il professionismo?
«Avremo le tutele che hanno i normali lavoratori. La maternità era tutelata ma non al livello di un professionista e questo è un aspetto importante per chi ha intenzione di avere figli».
Ci racconta la sua giornata tipo?
«Tutto gira intorno al calcio. Le ore di sonno e l’alimentazione sono fondamentali, la discriminante tra chi arriva a un certo livello e chi no. Sveglia, colazione, passeggiata con il mio cane. Poi a Vinovo: sono sempre una delle prime ad arrivare, è diventata casa nostra, mi piace stare là. Le ore che rimangono le ho passate a studiare».
Come vanno gli studi?
«Devo discutere solo la tesi, l’infortunio ha fatto slittare la discussione. Mi sto laureando in Economia».
Come sta vivendo l’avventura in Champions?
«Stare fuori è difficile, la Champions è quello che mi manca di più: affrontare grandi squadre come il Lione è uno stimolo. Mi stanno facendo divertire, per quanto guardarle da fuori è bello ma fa male non esserci».
Cosa dovrete fare a Lione per tentare l’impresa?
«Siamo state bravissime a ribaltarla dopo un primo tempo sottotono. Non dovremo concedere altri 45’ come all’andata: noi abbiamo fatto fatica, loro hanno passeggiato. Dobbiamo fare la nostra partita: in Europa se subisci e attendi, la paghi».