Sulle pagine on line della testata on line Pistoia Sette è uscita un’intervista molto interessante a Maria Laura Ghiglione, difensore argentino arrivata a dicembre nelle fila della squadra toscana. Classe 1990, Era arrivata in Italia per la prima volta tre mesi fa per giocare nell’Aprilia Racing Club dopo ben dieci anni di carriera ai massimi livelli in Argentina. Sorprendente la sua carriera, avendo per dieci anni militato nella Serie A argentina. Ha cominciato nel Club Atlético Excursionistas, nel 2015, prima di trasferirsi al Club Atlético River Plate fino al 2017, e al Club Atlético Platense fino al 2019, poi il passaggio al Club Atlético Defensores de Belgrano e a fine del 2020 il ritorno all’Excursionistas.
“Gender Equality” recita il logo della C.F. Pistoiese, ma oggi è davvero così? Calciatori e calciatrici sono veramente uguali? La società in cui viviamo si è evoluta abbastanza da ritenere questo sport praticabile da entrambe i sessi, senza assurdi e infondati stereotipi di genere? Quando finiranno i giudizi e le malelingue e quando finalmente ogni donna potrà decidere e disporre liberamente della propria vita, facendo le scelte migliori per sé? Perché seguire una passione automaticamente imprime un’etichetta con su scritto “diversa”? Ma diversa da cosa? Da quello che la società vuole e impone alle donne di fare? Bene, allora meglio essere differenti, ma felici, che omologate, ma tristi e insoddisfatte. Questo lo sa bene Maria Laura Ghiglione, difensore argentina che a dicembre si è aggregata alle arancioni dopo una carriera nella Serie A del suo paese e un breve periodo nell’Aprilia Racing Club, squadra italiana di Serie C (girone C). Nata a Buenos Aires il 12 agosto 1990, condivide la data di nascita con Mario Balotelli, volto noto della Nazionale azzurra. Ma questo non è l’unico aspetto in comune con il calciatore italiano, infatti entrambi hanno dovuto subire discriminazioni per il solo fatto di essere semplicemente se stessi: un italiano con un colore della pelle “diverso” e una donna che ha scelto uno sport “diverso”. È una colpa? Non dovrebbe esserlo.
Come è stata la tua infanzia?
“È stata bella, ho tanti bei ricordi. La considero l’età più felice, ma fuori dalla scuola perché sui banchi stavo malissimo, soprattutto perché ero vittima di bullismo. La mia passione mi ha portato a ricevere questo spiacevole trattamento: giocavo a calcio, ero un “maschietto” e i commenti che mi rivolgevano quando ero piccola mi facevano stare davvero troppo male. È stato difficile, ma ho proseguito sulla mia strada proprio perché quello che facevo mi piaceva e mi piace ancora oggi. È la mia passione. Questi fatti risalgono a molti anni fa, la società era diversa e c’era una minore apertura mentale rispetto a quella di oggi. Questo fattore influiva molto e frenava le aspirazioni. Ho fatto altri sport di squadra, ma ho cominciato a giocare a calcio nel modo in cui lo pratico ora all’età di 18 anni, quando ho finito la scuola. Ho sempre giocato con il pallone, all’inizio con i miei fratelli e amici, quindi non “formalmente” come un lavoro. Quanto detto era dettato principalmente dal fatto che non esistevano luoghi in cui io, donna, potevo praticare questo sport, o almeno io non sapevo dove trovarli. Quando ero più piccola il calcio era riservato ai maschi poi, nel periodo corrispondente ai miei 18 anni, hanno cominciato ad affacciarsi a questo mondo anche le ragazze, le quali hanno iniziato a giocare senza pensare ai giudizi della gente. Semplicemente non importava loro cosa qualcuno dicesse o pensasse a riguardo, molte quindi prendevano in affitto un campo e giocavano. Uno dei miei fratelli un giorno mi disse che nel campo dove giocava con i suoi amici c’era un gruppo di calciatrici che si allenava a calcetto, così io decisi di andare a provare ed è lì che io ho cominciato a giocare. Successivamente ho cercato di fare delle prove in diverse squadre, ma non mi andava così bene e non avevo una spinta per entrare, finché non ho trovato una squadra. Qui sono rimasta e ho cominciato a giocare calcio a 11 ai massimi livelli. Quando ho cominciato a giocare in Argentina esisteva solo la Serie A ed è qui che io ho sempre militato, non esistevano divisioni, la Serie B è stata creata intorno al 2015/2016 più o meno. Ho iniziato a 21 anni, circa una decina di anni fa, nel Club Atlético Excursionistas, con sede a Belgrano nella città di Buenos Aires, è questa la squadra del mio cuore nonostante io tifi River. È stata per me una squadra meravigliosa e con ragazze stupende, anche se la società aveva e ha ancora tanti problemi: infatti, una volta finito di giocare, mi piacerebbe lavorare lì, per il calcio femminile.”
A chi ti ispiri? Qual è il tuo modello calcistico?
“Quando ero bambina non avevo una calciatrice donna a cui guardare per poter dire “voglio essere come lei”, questo perché il calcio femminile ancora era molto primitivo. Non so qua in Italia, ma da me in Argentina era praticamente inesistente quando ero piccola, negli anni Novanta. Sicuramente all’inizio guardavo a Maradona, ma mi piaceva molto anche Enzo Francescoli, un attaccante del River Plate, squadra di cui sono grande tifosa. Io sono difensore adesso, ma quando ero bambina il mio ruolo era quello di attaccante. Successivamente, col passare del tempo e con l’evolversi del calcio femminile, ho conosciuto tante ragazze mie compagne da cui ho imparato tanto. Se oggi dovessi scegliere una calciatrice direi Estefanía Banini, non solo perché è stata scelta tra le migliori del mondo, ma anche perché ha una visione del calcio diversa, vuole il meglio per tale sport ed è per questo che ha avuto tanti problemi. Oggi le bambine hanno tante ragazze a cui guardare, invece quando ero bambina io non c’erano modelli.”
Qual è la differenza fra Italia e Argentina su come la gente si approccia al calcio femminile?
“Qua in Italia non ho avuto l’opportunità di parlare o conoscere persone al di fuori del mondo del calcio, quindi non so bene cosa possa pensare la gente per strada. Quando ci hanno visto tutte insieme in squadra ci hanno fatto i complimenti e gli in bocca al lupo, ma in Italia non so bene come stiano le cose a riguardo. Quello che posso dire è che in Argentina è cambiata tanto la situazione da quanto ero piccola a ora: prima era un “non puoi giocare a calcio se sei femmina” e adesso, negli ultimi anni, se dici di giocare a calcio ti fanno i complimenti. È cambiata molto la testa e la mentalità. Però farei notare che quanto detto vale nei rapporti personali, ma sui social purtroppo no; faccia a faccia, però, nessuno negli ultimi anni mi ha mai detto “non puoi” o “le donne non possono”, invece prima si. È cambiata tanto la situazione.”
Ti manca l’Argentina?
“Si! tanto, tantissimo. Mi manca la mia famiglia, i miei amici, ma anche la gente, il paese e il cibo.”
Qual è il tuo piatto preferito argentino?
“Si chiama “Asado”, è la carne fatta alla griglia ed è un cibo tipico dell’Argentina, ma non solo: è anche un rituale che si fa con gli amici e la famiglia, un momento in cui ritrovarsi e mangiare.”
Quali sono le differenze alimentari fra Italia e Argentina?
“Gli argentini sono molto simili agli italiani: in Argentina ci sono stati molti immigrati italiani e quindi il cibo è molto simile. Mangiamo anche la pasta e la pizza, ma è diverso il sapore: ad esempio la pizza in Italia è diversa dalla pizza in Argentina e preferisco quella del mio paese. Dovete venire a provarla!”
È vero che hai origini italiane?
“Si, i miei bis bis nonni erano di Genova, infatti ho lo la cittadinanza italiana per questo motivo.”
Hai studiato l’italiano? Lo parli bene per essere da poco tempo qui.
“L’ho studiato: in Argentina ho fatto una scuola italiana, ho dato gli esami in italiano. Ci sono stati tanti immigrati italiani in Argentina e quindi ci sono parecchie scuole italiane.”
Come mai hai deciso di venire qui in Italia a giocare a calcio?
“Perché mi ero stufata del calcio in Argentina. Ho chiesto ad un mio amico se conoscesse un procuratore o qualche squadra dove poter andare, avevo la cittadinanza per venire in Europa, lui mi ha trovato l’Aprilia e quindi sono venuta in Italia. Sono arrivata qui solo per giocare a calcio, io non avrei mai pensato di poter giocare in Italia, per me era impensabile. Ho voluto questo per tutta la mia vita.”
La tua famiglia ti ha sostenuto nella scelta di giocare a calcio?
“Si, per loro era uno sport in più. Mi hanno sostenuto e mi sostengono.”
Ti sei ambientata qua in Italia? Come ti trovi con le tue compagne?
“Mi sono trovata molto bene fin dall’inizio, le ragazze mi hanno accolto subito. Prima ero in un’altra squadra, l’Aprilia, qui tutte le mie compagne di squadra si sono dimostrate molto accoglienti, idem quando sono arrivata tra le arancioni. Tutti mi hanno accolto molto bene e sono legata a tutte, non ho un legame particolarmente forte con una.”
Cosa ti lega al numero che hai scelto?
“Il 3 è il mio numero preferito, mi sembra equilibrato. Da piccola mi piaceva il 9 per Francescoli, ma il tre è sempre stato il mio numero.”
Qual è l’umore della squadra adesso, dopo il pareggio di domenica?
“Abbiamo bisogno di punti, è comunque un risultato importantissimo per noi, ci siamo tirate su. Inoltre domenica abbiamo messo in campo un atteggiamento e un carattere diverso rispetto alle altre partite, spero si mantenga. Adesso dobbiamo giocare con il Pavia, io non c’ero all’andata ma le ragazze mi hanno detto che è stata una partita difficile, un avversario tosto. Nel senso che domenica abbiamo avuto un atteggiamento e un carattere diverso alle altre partite e spero si mantenga.”
Quanto manca la presenza di Baroni?
“Ho perso la mia compagna di linea e sento molto questa mancanza, mi trovavo benissimo con lei in campo. Peccato, spero che si rimetta.”
Descriviti con un aggettivo che credi ti rappresenti.
“Testona, nella vita e in campo. Sono tranquilla, ma quando qualcosa mi interessa sul serio vado in fondo. “
Credit Photo: Pistoia Sette