Margerita Portieri, 26 anni e veneta doc, si è avvicinata al mondo sportivo in maniera un po’ inaspettata. Seguendo le sue amiche calciatrici, ha scoperto l’ambiente del Venezia Femminile e non l’ha più lasciato, diventando ben presto Team Manager della squadra. Ad oggi è felice di svolgere questo ruolo che le dà grande soddisfazione, soprattutto perché il lavoro che viene fatto è frutto dell’impegno di squadra e società, unite nel raggiungimento di ogni obiettivo.
Come sei arrivata a ricoprire questo ruolo?
“Io e lo sport siamo stati per tutta la vita due linee parallele che non pensavo si potessero mai incontrare, ma le mie amiche hanno sempre giocato a calcio nel Venezia e io non sono mai stata una che riusciva stare con le mani in mano. Di professione poi sono assistente sociale, sono abituata a relazionarmi con gli altri e ad avere a che fare con le persone. Andavo a vedere partite e allenamenti, organizzavo le varie cose e mi davo da fare in quello che c’era bisogno, quindi la società ha pensato di prendermi con Team Manager. Ufficialmente da 4 anni a questa parte svolgo questo ruolo importante con molto onore”.
Hai mai pensato di iniziare a giocare a calcio?
“No, mai. Ci hanno provato tanti mister negli anni, ma è meglio che io gestisca altre cose, non sono proprio portata. Mi trovo meglio in ambito manageriale, è più nelle mie corde”.
Cosa fai nello specifico per il Venezia Femminile?
“Il mio è un ruolo di collegamento tra la società e lo spogliatoio, mi occupo della parte relazionale tra queste due entità. Quando poi si tratta di comunicazioni ufficiali ovviamente ci muoviamo in blocco, il Venezia è una società veramente organizzata”.
Qual è il compito più difficile?
“Quando mi sono inserita c’erano delle cose da mettere a punto: essere sempre puntuali, divise in ordine, mantenere un comportamento adeguato. La parte più ostica è doverle riprendere: è difficile perché devi saperti imporre con persone con le quali ti rapporti quotidianamente e che sono tue amiche al di fuori del calcio. Per fortuna ora non ce n’è bisogno, le ragazze sono diventate iper-diligenti e mi limito a fare “vigilanza”. Spesso mi prendono in giro per la mia rigidità chiamandomi nonna, però loro sanno che certe cose non le passo. Il rispetto reciproco che c’è tra noi consente loro di comprendere che questo è il mio compito, e se ci dovesse essere bisogno di riprenderle devo farlo, separando l’amicizia dal resto”.
C’è sinergia all’interno della società?
“Siamo una macchina che funziona in virtù del fatto che ognuno svolge il suo lavoro con professionalità. Poi dal momento in cui portiamo il nome del Venezia, con tutto ciò che c’è dietro e la fiducia che ci ha dato il comparto maschile, bisogna sapersi prendere la responsabilità di garantire una certa immagine e certi risultati. Questo è un grande orgoglio”.
La società è anche molto attiva nel sociale, e avete realizzato un importante raccolta fondi che ti ha coinvolto in prima persona…
“Ho due fratelli affetti dal disturbo dello spettro autistico e mia mamma ha fondato un’associazione di volontariato con la quale riesce a realizzare tanti progetti. Il Venezia Femminile, con l’aiuto della squadra maschile, ha voluto partecipare a una raccolta fondi realizzando dei calendari di squadra nel 2019. Il ricavato della vendita è stato poi devoluto in beneficienza all’associazione. Ogni anno, comunque, ci siamo impegnati a far beneficienza destinando i soldi delle multe fatte alle ragazze, dovute a qualche sgarro, alle varie associazioni del territorio. Se si può aiutare, perché no? Piuttosto che mangiarci una pizza decidiamo di agire in questo modo, che di questi periodi fa sempre bene”.
Credit Photo: Venezia Femminile